La battaglia diplomatica dello Stato d’Israele si estende al calcio. Il 29 Maggio la FIFA, il maggiore organo calcistico mondiale, voterà una mozione che prevede la sospensione di Israele dalle competizioni internazionali. I rappresentanti delle federazioni di duecentonove paesi esamineranno la proposta avanzata dai loro colleghi palestinesi che accusano lo Stato ebraico di ostacolare la crescita del movimento calcistico palestinese violando il diritto internazionale.
Nello specifico secondo la PFA (Palestinian Football Association) Israele limiterebbe in modo eccessivo gli spostamenti dei calciatori palestinesi, specialmente se residenti a Gaza, rendendogli difficile la partecipazione a match internazionali. Susan Shalabi, direttore del dipartimento internazionale della PFA, ha sostenuto inoltre che il bando sui materiali edili in vigore dal 2009 ha impossibilitato la creazione di strutture come stadi e campi di allenamento. La PFA ha anche richiesto lo smantellamento di cinque squadre che giocano nel campionato israeliano perché le città che rappresentano sono insediamenti ebraici nella West Bank.
Nonostante Israele abbia partecipato ad un solo campionato mondiale nel 1970, il calcio è diventato uno degli sport più seguiti nel paese grazie alla partecipazione di squadre locali nella prestigiosa Champions League europea. Combinata con il crescente boicottaggio economico, scientifico e culturale, l’espulsione dalle competizioni internazionali sarebbe un duro colpo per l’immagine di Israele.
La federazione israeliana è infuriata per il coinvolgimento di questioni politiche nello sport e ha già espresso il suo disappunto alle altre nazioni. La mossa è vista come l’ennesimo tentativo da parte dell’ANP di danneggiare la statura internazionale dello Stato ebraico. Shlomi Barzel, portavoce della ISA (Israel Soccer Association), è convinto che le lamentele dei palestinesi dovrebbero riguardare le forze di sicurezza e l’esercito e non le squadre di calcio. Inoltre ha evidenziato che solo l’1% dei calciatori palestinesi non ha potuto partecipare alle gare previste e che in ogni caso erano palesi i rischi per la sicurezza. Ad esempio nel 2013 Netanyahu fornì al Presidente della FIFA Sepp Blatter le prove che i terroristi di Hamas avevano utilizzato i campi da calcio per lanciare missili sulle città israeliane.
Non è la prima volta che il conflitto israelo-palestinese si riversa nello sport: nel 2012 i palestinesi espressero le stesse lamentele per i Giochi Olimpici, problema poi risolto grazie alla creazione di una task-force apposita che fece dialogare le due federazioni sportive. In quell’ambito si arrivò ad un compromesso che prevedeva l’obbligo per la PFA di notificare a Israele gli spostamenti dei calciatori con trentacinque giorni d’anticipo. Dopo un inizio incoraggiante la proposta fallì miseramente per le proteste dei palestinesi. La Shalabi ha già fatto sapere che la mozione non verrà ritirata se Israele non accetterà in toto le richieste della PFA, Barzel dal canto suo ha proposto un incontro amichevole fra le due nazionali per promuovere la pace.
La prossima settimana Sepp Blatter incontrerà in Israele sia Netanyahu che Abbas per cercare di trovare una soluzione condivisa. Si è già opposto alla sospensione di Israele e vorrebbe risolvere la questione attraverso negoziati bilaterali come ha richiesto lo Stato ebraico. Probabilmente Blatter farà pressione su Israele per ottenere qualche concessione per i palestinesi ma è d’accordo con Netanyahu rispetto all’idea che la politica debba rimanere fuori dalle competizioni sportive.