Israele deve far fronte nelle ultime settimane a sviluppi nuovi, anche se non imprevisti, sul teatro strategico settentrionale, quello siriano, dove Israele sta difendendosi dall’Iran in una guerra non convenzionale e non dichiarata ma evidente a tutti gli attori internazionali. Prima, un mese fa circa, la Russia ha ripetutamente dichiarato di non essere in grado di tenere l’Iran fuori dal territorio siriano, anche se a quanto pare ha proposto a Israele di distanziarlo di 60-100 chilometri. Il che a Israele non è sufficiente perché nella guerra contemporanea si tratta di una separazione che si supera in pochi minuti con i mezzi aerei e poche core con i carri armati. Poi vi sono stati degli accordi espliciti fra il regime siriano e l’Iran in cui viene stabilito che non solo gli ayatollah avranno grande spazio nell’enorme business della ricostruzione dopo la guerra civile, ma terranno in permanenza il loro esercito in Siria, trasformando esplicitamente il regime di Assad in un vassallo dell’Iran. Questo non meraviglia, dato che il dittatore siriano deve innanzitutto agli ayatollah e ai loro mercenari fra cui Hezbollah la sua sopravvivenza.
In questo quadro si sono svolti dei colloqui triangolari fra Iran, Turchia e Russia per definire le zone di influenza prima della probabile battaglia di Idlib, l’ultima zona rilevante del paese in mano ai ribelli. Infine è emerso che lo stato iraniano ha assegnato ai suoi mercenari (che la stampa europea chiama soavemente forze sciite) in Siria e in Iraq (questa è la novità) dei missili a medio raggio, capaci dunque di raggiungere Israele e l’Arabia Saudita.
Già l’esercito iraniano aveva spesso tentato di consegnare queste armi a Hezbollah (molti di questi carichi sono stati distrutti da Israele, ma qualcosa purtroppo potrebbe essere arrivato nel corso degli anni ai terroristi in Libano) e le aveva date agli Houthi in Yemen che li hanno usati contro il territorio dell’Arabia Saudita, senza peraltro fare gravi danni. L’ultimo sviluppo è che Israele ha di nuovo bombardato l’altro ieri posizioni logistiche legate all’Iran in Siria, depositi di missili o di munizioni vicino a una base aerea.
Israele ha anche annunciato l’acquisizione di un armamento missilistico di nuova generazione, estremamente preciso e facile da usare, che dovrebbe modificare notevolmente il quadro tattico delle battaglie di terra, scaricando l’aviazione da compiti di interdizione e appoggio tattico ai carristi, liberando così forze per l’uso strategico. Vi sono anche nuovi razzi supersonici per l’armamento degli F35.
C’è chi in Israele ma soprattutto all’estero, ha messo in discussione sulla base di questi eventi la politica condotta da Netanyahu di cercare un accordo con la Russia per limitare l’influenza iraniana. Naturalmente scrivere di queste cose senza avere le informazioni (senza dubbio molto segrete, dato l’efficienza dei servizi israeliani, ma altrettanto segrete) di cui dispongono i vertici dello stato israeliano è assai rischioso. Non sappiamo, noi osservatori esterni, che cosa abbia fatto davvero Putin, quali siano le mosse della Turchia, in che condizioni sia davvero l’esercito iraniano e i suoi mercenari, quali siano le possibilità reali di una guerra. Ma certamente la capacità che Netanyahu ha avuto finora di neutralizzare il principale alleato del nemico iraniano e cioè i russi, è stata notevolissima e ha molto aiutato. Per Israele sarebbe probabilmente possibile ma certamente molto costoso entrare in guerra aperta con un paese dieci volte più grande e cinquanta volte più esteso di Israele, come l’Iran, anche considerando un contemporaneo attacco di tutti i nemici terroristi (Hezbollah, Fatah, Hamas), la neutralità antipatizzante dell’Unione Europea e perfino mosse ostili della Turchia, che ormai sembra schierata con l’Iran. Ma se a questo schieramento si aggiunge la Russia, che è ancora una delle superpotenze mondiali, la sfida è certamente troppa grande.
Israele può contare sull’America, almeno fino a che il presidente si chiama Trump (non poteva certo farlo con Obama). Ma gli Usa stanno cercando di ritirarsi dalla Siria e dall’intero Medio Oriente e non sarebbero certamente contenti di dover difendere Israele con le armi. Inoltre questi appoggi costano, in termini di prestigio regionale, ma anche di libertà di azione locale. Difficilmente uno Stato ebraico che per sopravvivere avesse bisogno delle armi americane potrebbe determinare autonomamente le proprie scelte sulla questione palestinese. Quando nella guerra del Kippur Israele ebbe bisogno dei rifornimenti di armi negate dall’Europa, Kissinger le fece sospirare con l’intenzione precisa di indebolire e “rendere malleabile” Israele.
Insomma, la capacità che Netanyahu ha avuto in questi anni di ottenere un qualche appoggio da parte russa è stato un capolavoro diplomatico che ha tutelato la sicurezza di Israele e probabilmente ha ancora estrema importanza. Nessuno può sapere se e quando una guerra aperta si scatenerà sul fronte settentrionale. Ma certamente Israele non la vuole e ha potuto finora procedere indisturbato a bloccare i tentativi iraniani di stabilire forze sul terreno grazie al lavoro diplomatico e alla personale credibilità di Netanyahu. E’ una partita a scacchi ben lungi dalla conclusione.