Israele e Stati Uniti si sono ufficialmente ritirati dall’Unesco. L’arrivo del 2019 ha posto fine all’iter intrapreso dai due paesi nell’ottobre 2017, esattamente un anno dopo che l’agenzia delle Nazioni Unite impegnata nella salvaguardia del patrimonio culturale globale e nella promozione delle arti e delle scienze aveva varato la risoluzione che negava il legame storico tra il popolo ebraico e Gerusalemme.
I rapporti, però, si erano già inclinati nel 2011, quando l’Unesco ammise la Palestina fra i propri membri, che portò Israele e Usa a sospendere ogni finanziamento all’istituzione parigina fondata nel 1945.
La ragione principale dell’uscita dall’organizzazione sarebbe proprio l’atteggiamento “sfacciatamente filopalestinese” promosso dall’Unesco negli ultimi anni e la “faziosità” nei confronti dello Stato d’Israele.
Washington, nonostante l’abbandono, ha manifestato la volontà di “continuare a collaborare” con l’Unesco. Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere, infatti, di voler esser un “paese osservatore” in occasione della riunione del Comitato esecutivo Unesco che si terrà nel prossimo aprile.
Non è la prima volta che gli Usa decidono di uscire dall’Unesco. Nel 1984, infatti, il governo Usa decise l’uscita dall’organizzazione a causa “faziosità” e i “pregiudizi anti-israeliani” per poi rientrare solo nel 2003.
Ecco alcune risoluzioni dell’Unesco che hanno puntato il dito contro Israele:
- Ottobre 2016 – “Gli ebrei non hanno alcun legame con il Monte del Tempio di Gerusalemme”;
- Maggio 2017 – “Palestina occupata”;
- Giugno 2017 – Israele “potenza occupante”.
Quale futuro potrà esserci per l’Unesco se a uscire è un paese come Israele, che fra le sue eccellenze annovera cultura e scienza?