Una settimana fa, la bravissima ambasciatrice americana all’Onu Nikki Haley, che purtroppo lascia l’incarico alla fine dell’anno, ha fatto probabilmente il suo ultimo discorso al consiglio di sicurezza dell’Onu, che non a caso riguardava il conflitto arabo-israeliano.Si tratta infatti di una dichiarazione programmatica che chiarisce molto bene le intenzioni dell’amministrazione Trump su Israele e può spiegare l’ispirazione del piano di pace che dovrebbe essere rivelato nelle prossime settimane. Sui giornali europei se n’è parlato poco o niente, ma vale certamente la pena di seguirne le linee nel riassunto che ne ha fatto Caroline Glick.
“Nel discorso di Haley all’incontro mensile del Consiglio di sicurezza riguardante il conflitto palestinese con Israele ha denunciato “l’ossessione delle Nazioni Unite nei confronti di Israele”. Haley ha osservato che il processo di pace tra Israele e palestinesi è fallito da 50 anni. Ha detto che è ora di provare qualcosa di nuovo, suggerendo ai “fratelli e sorelle arabi ed europei” di andare oltre i “punti di discussione falliti” che costituivano la base dei falliti piani di pace dell’ultimo mezzo secolo. Il discorso di Haley sottolinea un punto chiave, mai sollevato da un alto funzionario americano. Il “processo di pace” che è in corso tra Israele e l’OLP dal 1993 è antitetico alla pace effettiva. Di conseguenza, qualsiasi tentativo di raggiungere la pace effettiva tra Israele e i palestinesi richiede l’abbandono del “processo di pace”. Haley ha chiarito questo fatto riconoscendo che Israele ha molto meno da guadagnare e molto più da perdere dal processo di pace di quanto non valga per i palestinesi. Nelle sue parole, “Israele vuole un accordo di pace, ma non ne ha bisogno”. “Entrambe le parti trarrebbero enormi benefici da un accordo di pace. Ma i palestinesi ne beneficerebbero di più e gli israeliani rischierebbero di più”. Ha aggiunto che se gli sforzi per ottenere la pace fallissero, “Israele continuerebbe a crescere e prosperare”. I palestinesi, d’altra parte, “continuerebbero a soffrire”. Però “sarebbe sciocco per Israele fare un accordo che indebolisse la sua sicurezza. L’ambasciatore ha argomentato a favore del piano di pace ancora inedito dell’amministrazione: promettente, perché è basato sulla realtà – o nelle sue parole, perché “riconosce che le realtà sul terreno in Medio Oriente sono cambiate in modo molto importante”. Haley ha chiesto agli europei e gli arabi a fare una scelta “tra un futuro pieno di speranza che cancella le richieste stanche, vecchie e non realistiche del passato o un futuro più oscuro che si attacca ai punti di discussione provati e falliti del passato”.”
Quella di Halley (e in definitiva di Trump) è certamente una visione molto innovativa del Medio Oriente che può cambiare il gioco fra arabi e israeliani. E’ interessante leggere la risposta completamente negativa e conservatrice che le hanno opposto compattamente gli ambasciatori dei paesi europei al Consiglio di Sicurezza. Sempre nel riassunto di Glick:
(Gli europei) “hanno avvertito l’amministrazione che qualsiasi piano di pace che ignorasse “i parametri concordati a livello internazionale … rischierebbe di essere condannato al fallimento”. La dichiarazione europea continua: “L’UE è convinta che il raggiungimento della soluzione dei due stati basata sui confini del 1967 con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati – che soddisfi i bisogni di sicurezza israeliani e palestinesi e le aspirazioni palestinesi per la sovranità e la sovranità dello stato, l’occupazione e risolve tutti gli aspetti dello status finale in conformità con la risoluzione 2234 del Consiglio di sicurezza e precedenti accordi – è l’unico modo praticabile e realistico per porre fine al conflitto e ottenere una pace giusta e duratura.” Hanno quindi intimato agli Stati Uniti di tornare al business di mettere le viti su Israele per accettare questi “parametri”, affermando che l’UE “continuerà a lavorare a tal fine con entrambe le parti e con i suoi partner regionali e internazionali”.”
E’ evidente che l’Unione Europea è la forza più conservatrice, più attaccata alle vecchie concezioni obamiane e carteriane che ci sia oggi nel teatro internazionale. Che questa impostazione non sono sia stata sperimentata invano per oltre cinquant’anni e che essa faccia riferimento a schieramenti che sul terreno non ci sono più, non importa. Il suo atteggiamento non è politico, cioè duttile e attento alla realtà, ma fideistico, con un tratto moraleggiante per cui chi non è d’accordo non può essere se non un cretino o un mascalzone. Se poi i fatti non corrispondono alle idee, peggio per loro. Questo era chiaro da tempo, tutta la politica europea nei confronti di Israele va in questo senso, con in più una forte puzza di antisemitismo di sinistra, e lo stesso dice il tentativo di compiacere l’Iran a ogni costo, nonostante la sua evidente aggressività.
Quel che sorprende invece è la capacità dell’Unione Europea di tenere legate a queste sue politiche internazionali conservatrici e irrealistiche anche paesi che per altri versi hanno mostrato di rifiutare la vecchia ideologia “progressista” dell’Europa. Gli ambasciatori che hanno firmato questo documento, per esempio, appartengono a Francia, Olanda, Svezia, Belgio, e Gran Bretagna – e fin qui la cosa non sorprende, perché May è subalterna all’Europa anche in politica estera, non solo sulla Bexit, il governo belga è andato in crisi per l’insistenza di firmare il patto suicida dell’Onu per legittimnare il diritto universale alla migrazione, la Francia e la Svezia sono i paesi più antistraeliani d’Europa. Ma il comunicato è stato firmato anche dalla Polonia, che su altre cose si oppone, e anche dall’Italia, nonostante le posizioni di Salvini. Il perché è chiaro: la politica estera è in mano a Moavero, ministro già di Monti e amico di Gentiloni, protetto da Mattarella, tutti conservatori al cento per cento sulle politiche europee. E per di più il suo sottosegretario con delega per il Medio Oriente si chiama Manlio Di Stefano, è un 5 stelle ancora più nemico di Israele della media di questo partito.
Rimpiangeremo Nikky Halley, la sua onestà intellettuale, la sua acutezza, il suo amore per Israele. Ma certamente non rimpiangeremo Moavero e Di Stefano, e anche Mogherini, quando sarà il loro turno di andare a casa, speriamo già nell’anno che viene.