Ormai è chiaro a tutti coloro che si occupano del Medio Oriente. In Siria è in atto una nuova guerra aperta e dichiarata, quella fra Iran e Israele. Essa per il momento si svolge solo fra cielo e terra, consiste in incursione aeree, lanci di missili e bombardamenti; non vi sono per il momento scontri sul terreno. In cambio la guerra ha dei teatri periferici più o meno attivi. Il primo è in in Libano, dove sono basati i più importanti mercenari dell’Iran, gli Hezbollah, dove di recente c’è stato l’episodio importante della distruzione di sei tunnel d’attacco di Hezbollah che già penetravano in territorio israeliano, ma i mercenari hanno basi militari, missili, fortificazioni e truppe bene addestrate. Il secondo è a Gaza, dov’è chiaro ormai che Hamas in parte e la Jihad islamica del tutto è alle dipendenze dell’Iran e agisce come terzo fronte di disturbo, secondo le esigenze strategiche di Teheran. E anche il “terrorismo artigianale” di Giudea e Samaria ha questo senso: animato principalmente da Hamas, ma sostenuto anche da Fatah che in teoria controlla il territorio, serve a distrarre forze e a oscurare, sotto lo scudo propagandistico della “resistenza popolare” l’aggressione iraniana.
Hamas e Fatah sono deboli sul territorio, possono solo colpire i civili israeliani con razzi, coltelli, armi da fuoco e investimenti automobilistici compiendo crimini orrendi, che però contano poco sul piano militare. Ma hanno peso sul quinto fronte della guerra, che è quello della diplomazia, della politica internazionale, delle organizzazioni internazionali, comprese quelle di giustizia. Qui sono riusciti, con l’aiuto determinante dei movimenti comunisti, islamisti e terzomondisti a occultare la loro natura terrorista e a presentarsi come rappresentanti di un “popolo oppresso” o addirittura di un’inesistente “stato occupato”.
E’ una minaccia globale, che ha come scopo la distruzione dello Stato di Israele, con la conseguente nuova Shoah che ne deriverebbe. Israele reagisce efficacemente su tutti e cinque i fronti. In Siria combatte dal cielo in maniera sempre più aperta per impedire la concentrazione di truppe iraniane che potrebbero innescare una guerra sul terreno e anche per impedire i rifornimenti di arme avanzate a Hezbollah, attiva in Siria, ma soprattutto il Libano. Hezbollah è seguito attentamente, i suoi preparativi di guerra come i tunnel sono prevenuti o distrutti. Ma è probabile che se una guerra sul terreno dovesse iniziare, sarebbe probabilmente di qui. Il terzo e quarto fronte sono poco influenti dal punto di vista militare, come ho detto. Israele si limita da contenere gli assalti di Hezbollah e a esercitare limitati contrattacchi di rappresaglia quando Hamas usa armi da fuoco o missili. Israele non vuole nei limiti del possibile impantanarsi in un’operazione militare a Gaza che sarebbe costosa in termini di vite umane e di immagine internazionale e senza sbocco strategico. Chi vorrebbe operazioni più impegnative su questo fronte non sa indicare quale ne sarebbe l’obiettivo per Israele e il vantaggio strategico. Parlare di deterrenza nei confronti di Hamas ha poco senso, perché il movimento terrorista non bada all’interesse della sua popolazione e neppure alla sopravvivenza dei suoi membri, ma risponde all’Iran. La sola deterrenza possibile è nei confronti di Teheran, non di Gaza. Per quanto riguarda il terrorismo spicciolo in Giudea, Samaria e sul territorio israeliano, il tentativo è di prevenirlo e di reprimerlo quando si manifesta, minimizzando i danni: è una lotta dei servizi di informazione e del presidio del territorio.
Israele poi si batte sul fronte internazionale, che è quello più importante fino a quando dovesse scoppiare la guerra di terra. Qui ha degli alleati, il più importante dei quali è l’amministrazione americana, ma si sforza di estenderne il numero, o almeno di avere la comprensione di altri paesi. Ci è riuscito con molti stati africani, arabi (che hanno in comune l’ostilità dell’Iran), asiatici, e anche dell’Europa orientale. Nemici sono i sostenitori dell’Iran, come la Turchia e l’Unione Europea, ma soprattutto la Russia che ha deciso le sorti della guerra civile siriana in favore di Assad e vuole continuare a essere l’arbitro della Siria. Israele si sforza di avere con questi paesi i migliori rapporti possibili: non rompe con la Turchia nonostante le provocazioni di Erdogan; con l’Unione Europea si sforza di avere scambi economici che convengono a entrambi e di proteggere le comunità ebraiche, nonostgante le provocazioni della politica internazionale. Con la Russia il dialogo è fitto ed è evidente l’intenzione di evitare, finché sarà possibile lo scontro diretto. Israele continua a esercitare in Siria la sua interdizione sull’armamento iraniano, nonostante le prese di posizione russe. Gli ultimi bombardamenti vicino all’aeroporto internazionale di Damasco, che è uno snodo fondamentale dell’importazione iraniana di armamenti, sono stati violentemente condannati a parole dai russi. Ma le loro armi antiaeree avanzate, i sistemi S300, non sono stati usati contro gli aerei israeliani, che hanno distrutto invece parecchie batterie contraeree siriane, sempre di origine russa ma di generazione precedente e certamente non controllate dai russi.
E’ difficile orientarsi in questa contraddizione fra atteggiamenti pubblici e comportamento sul campo. I russi forse vogliono evitare un confronto che probabilmente perderebbero, dato che Israele ha aerei che possono sfuggire agli S300 e distruggerli, infliggendo un grave danno alla credibilità militare russa. Certamente preferiscono non combattere con lo stato ebraico che in Medio Oriente ha una maggiore potenza tattica, anche se strategicamente è certamente inferiore. Uno scontro di questo tipo richiamerebbe l’intervento americano e porterebbe al rischio di una guerra mondiale. D’altro canto neanche Israele ha interesse a mettersi su una strada così pericolosa. Netanyahu, che gestisce direttamente la situazione come primo ministro e ministro della difesa, ha spesso spiegato a Putin che Israele non ha di mira gli interessi russi, ma deve assolutamente evitare che la minaccia iraniana si concretizzi con l’accumulo di armi e di truppe. Nessuno sa quali sono i termini esatti di questo precario compromesso. Una cosa è sicura: la sperimentata competenza e abilità di Netanyahu nella gestione di questa strana guerra è essenziale alla sopravvivenza di Israele e in senso lato anche alla pace del mondo. Se l’assalto giudiziario cui è sottoposto – non certo la volontà degli elettori israeliani – riuscisse a metterlo fuori gioco, il pericolo aumenterebbe moltissimo.