Il cervello è un organo molto particolare: oltre a svolgere funzioni essenziali alla nostra sopravvivenza fisiologica e cognitiva, è anche l’unico organo a rimanere protetto dalle interazioni con gli altri tessuti e fluidi del nostro corpo grazie alla barriera ematoencefalica. Almeno, questo è quanto si è creduto negli ultimi anni.
Recentemente, la Prof.ssa Michal Schwartz e il Dott. Ido Amit del Weizmann Institute di Rehovot hanno smentito questo dogma e pubblicato la loro ricerca sulla rivista Science, rispondendo ad un quesito molto interessante: perché il cervello invecchia?
Il gruppo di Schwartz ha già dimostrato in passato che il cervello comunica con il sistema immunitario grazie al plesso coroideo, un’interfaccia con il sistema circolatorio preposta alla comunicazione fra sangue e liquor cefalorachidiano. Questa scoperta ha suggerito che il declino cognitivo possa dipendere dall’interazione nel corso del tempo tra il cervello e il sistema immunitario.
I ricercatori hanno dunque eseguito delle analisi di sequenziamento next generation su differenti organi di topi anziani comparandole con quelle di topi giovani, al fine di individuare cambiamenti dell’espressione genica specifici della condizione d’invecchiamento. Questo ha consentito di identificare nel plesso coroideo l’espressione dell’interferone di tipo I (IFN-I), una proteina normalmente prodotta da cellule del sistema immunitario e cellule
tissutali durante le infezioni virali. L’inibizione dell’IFN-I, per contro, ripristina parzialmente le funzioni cognitive perse durante l’invecchiamento: gli esperimenti confermano che questa proteina sia una sorta di “firma” dell’invecchiamento cerebrale, che può quindi essere contrastato e rallentato con ricerche e cure mirate al blocco dell’azione dell’IFN-I.
Fonte: Science. 2014 Oct 3;346(6205):89-93. doi: 10.1126/science.1252945.