Nello specifico, un accordo il cui obbiettivo era quello di vietare tutte le colonie fu escluso dall’ Organizzazione Liberazione Palestina ( OLP), la quale confermò di che la sua missione fondamentale rimaneva distruggere lo Stato di Israele, espellere la maggioranza della popolazione ebraica e rimpiazzarla con quella araba. Infatti, l’articolo 24 della prima Carta Nazionale dell’ OLP del 1964 escludeva espressamente la Cisgiordania e Gaza dai suoi obbiettivi per non contrariare la Giordania e l’Egitto: l’articolo 24 fu eliminato nella versione rivista del 1968. La carta del 1968, precisava (art. 6) che “gli Ebrei che vivevano originariamente in Palestina, fino all’inizio dell’invasione sionista saranno considerati palestinesi.” Di conseguenza, quasi l’intera della popolazione Ebraica , che non rientrava nel criterio stabilito- sarebbe dovuta essere espulsa”. Una prova sufficiente per capire che per l’OLP la guerra contro gli Ebrei continuava – anche dopo la Guerra dei Sei Giorni – come una guerra civile per il controllo di tutta la Palestina Mandataria.
Questa era la posizione condivisa degli arabi fino al 1988, data in cui il Consiglio Nazionale Palestinese (CNP) mostrò l’intenzione di iniziare un negoziato con Israele. Yasser Arafat nel suo discorso all’ Assemblea Generale dell’ONU nel Dicembre di quell’ anno, ammise che in precedenza il CNP aveva coltivato il “sogno” di un unico Stato nell’ex Palestina Mandataria, ma affermò che ora il CNP aveva deciso di adattarsi alla “realtà” proclamando lo Stato di Palestina nelle sole aree occupate dalla Giordania e dall’Egitto tra il 1949 ed il 1967.
Questa dichiarazione, ovviamente, non creò uno Stato di Palestina. Negoziati seri sulla soluzione a due- stati cominciarono solo nel 1991 con la Conferenza di Madrid. Nel frattempo Arafat si era fatto odiare tra gli Stati Arabi a causa del suo supporto all’ occupazione del Kuwait da parte dell’ Iraq nel 1990; si ritrovò esiliato nel deserto della Libia meridionale perché nessun altro Paese lo voleva accoglierlo. L’OLP non fu neanche più autorizzata ad inviare una delegazione a Madrid. Ci fu invece una delegazione Giordano – Palestinese i cui cittadini palestinesi provenivano dalla Cisgiordania e da Gaza. Fu solo con i cosiddetti accordi di Oslo del 1993 e 1995 che il conflitto iniziò a spostarsi da una guerra civile verso una guerra tra due Stati. Di conseguenza, questi accordi dovrebbero essere calssificati come “accordi speciali” come previsto dall’Articolo 3 della Quarta Convenzione di Ginevra. Con questi accordi, lo Stato di Israele ha sia ottemperato alla lettera della Convenzione, sia agito nello spirito della legge. Le accuse contro Israele, relative al suo mancato rispetto della Convenzione, sono quindi respinte.
Già nel 1995 comunque, tutte le colonie Israeliane esistenti oggi in Cisgiordania erano presenti. Sono il risultato di un periodo di guerra civile e come tali devono essere considerate.
In effetti, numerosi Israeliani e Palestinesi continuano a pensare ed agire ancora oggi come se fossero parte di una guerra civile presente sul territorio dalla Palestina Mandataria. Le due popolazioni continuano a discutere sui pro e contro della soluzione ad uno o due Stati, mentre il Consenso Internazionale si è espresso a favore della seconda. Hanno da sempre visto questo come una disputa relativa a un Paese su cui entrambi le popolazioni hanno le stesse rivendicazionii. Anche molti nella sinistra Israeliana, che sponsorizzano tenacemente l’indipendenza della Palestina, ammettono di lasciare la terra storica di Giudea e Samaria con grande tristezza ma in nome della pace.
Soprattutto i Palestinesi vorrebbero restaurare lo stato di fatto esistente prima del 1947. Nonostante alcune fazioni palestinesi si siano dichiarate pronte a trattare la pace sulla base della Linea Verde, tutte le altre frazioni palestinesi concordano che si giungerà alla fine del conflitto solo con la creazione di una maggioranza araba in Israele ottenuta per mezzo del il ritorno in massa dei rifugiati del 1948 e di milioni di loro discendenti. Si verificherebbe subito dopo una riunificazione con Gaza e con la Cisgiordania. Allo stesso modo, i sondaggi hanno provato che la maggioranza della popolazione palestinese ritiene accettabile una “soluzione a due Stati ” solo se considerata come una fase di passaggio verso un unico stato comprendente tutto il territorio della Palestina Mandataria.
Anche Arafat stesso, nonostante i suoi discorsi in inglese dal 1988 in poi, non abbandonò mai l’idea di distruggere lo Stato di Israele. All’inizio del 1996, furono resi noti i dettagli di un discorso che aveva tenuto davanti a un gruppo di ambasciatori arabi a Stoccolma il 30 gennaio dello stesso anno. In quell’ occasione, egli spiegò che gli accordi di Oslo, firmati con Israele nel 1993 e 1995, erano stati solo uno stratagemma per dare all’OLP una base in Palestina da cui lavorare in modo da rendere la vita degli ebrei così dura da costringerli ad abbandonare Israele. Questa strategia fu attuata, invano, durante la Seconda Intifada del 2000- 2005, dopo aver rifiutato le offerte Israeliano-Americane di creare uno Stato di Palestina che soddisfacevano tutte le richieste Palestinesi tranne il “diritto al ritorno” dei rifugiati.
Quando l’Esercito Israeliano (IDF: Israeli Defence Force) occupò il quartier generale di Arafat a Ramallah fra 2002 e 2004, trovò dei documenti, firmati da Arafat, che autorizzavano le spese relative all’acquisto di cinture esplosive da utilizzare per atti di terrorismo suicida. Arafat sapeva perfettamente cosa stava firmando, tanto da aver sbarrato le somme richieste prima di sostituirle con alcune di minore importo. Questo in segreto; mentre anche nelle sue arringhe pubbliche in Arabo utilizzava una canzoncina che diceva “un milione di martiri che marciano su Gerusalemme”. Queste rese del tutto insensato l’impegno, preso con gli accordi di Oslo, di cessare ogni atto di terrorismo o incitazione allo stesso.
Il successore di Arafat, Mahmoud Abbas, si espresse chiaramente contro il terrorismo di Arafat durante la Seconda Intifada, ma solo perché lo reputava controproducente, non perché fosse immorale. L’incitazione continua ancora oggi: Palestinian Media Watch ha messo in archivio un vasto numero di esempio in questo senso, provenienti dai media Palestinesi, dal sistema educativo e dalle cerimonie pubbliche, compresi importanti membri dell’OLP e figure di Fatah vicine allo stesso Abbas.
THE VIOLET LINE
All’inizio c’erano due Mandati Francesi, in Siria e in Libano, e due Mandati Inglesi, in Iraq e Palestina. Tutti e quattro si trasformarono in altrettanti teatri di guerre civili irrisolte. La Palestina fu la prima e la meno sanguinosa. (Si stima che, anche in Libano, la guerra civile abbia causato più vittime e continuerà a rimanere irrisolta finché Hezbollah rimarrà uno stato pesantemente armato all’interno dello stato.)
Probabilmente nessuna di queste guerre civili può essere risolta senza una soluzione “a più stati”. Il consenso internazionale però – con la testardaggine di un mulo – considera queste soluzioni inaccettabili ad eccezione della Palestina Mandataria. Solo in questo caso è obbligatorio il consenso sulla divisione. Il consenso vede anche la “Linea Verde”, disegnata fra Israele e Giordania dall’Armistizio del 1949, come giusto confine fra Israele e gli stati Palestinesi, soggetto comunque a modifiche concordate da entrambe le Parti.