Giovedì scorso a Roma si è tenuta una camminata silenziosa per ricordare i 1024 ebrei deportati dal Ghetto. Ieri, sempre a Roma, sempre nella Capitale di Italia, abbiamo gridato uniti in difesa degli ebrei che in Israele, ogni giorno, rischiano di finire vittime di una forma di terrorismo vigliacca: quella degli accoltellatori.
In difesa dei vivi come in memoria dei morti. E’ questo, in fondo, ciò che oggi più caratterizza l’essere ebreo nella società contemporanea. Da un lato, appunto, la memoria storica come coscienza collettiva, come dovere verso il passato, il presente e il futuro. La memoria storica come dovere verso chi è sopravvissuto, verso chi non c’è più e verso chi non può dimenticare ciò che ha significato in passato essere ebrei. Dall’altro un dovere opposto: quello di non restare zitti mente altri ebrei vengono uccisi. Di non voltarsi altrove mentre l’antisemitismo celato sotto le mentite spoglie dell’antisionismo accoltella madri e padri, figlie e figli per le strade di Israele. Queste due manifestazioni, apparentemente così diverse, apparentemente così distanti nei modi e nella forma, sono il frutto di un’identità ebraica che intende la vita come testimonianza perpetua e come esempio.
Nel sabato che ha unito questi due eventi gli ebrei di tutto il Mondo hanno letto il brano della Torah (l’Antico Testamento) che narra della storia di Noè e della sua Arca. La storia di Noè inizia all’incirca con queste parole: “Queste sono le discendenze di Noè. Noè era un uomo giusto, perfetto nella sua generazione. Noè camminava con il Signore”. Esatto: senza entrare troppo nelle sfere religiose, le discendenze di Noé prima ancora che i suoi figli (citati subito dopo) sono le sue azioni, il suo esempio. L’esempio di vita vissuta, le azioni che caratterizzano la nostra vita terrena, sono la traccia che come esseri umani lasciamo al Mondo. Le nostre azioni, in qualche modo, ci precedono.
Come ebreo, allora, battersi in difesa dei vivi come in memoria dei morti vuol dire avere chiaro che le nostre azioni, la nostra testimonianza, sono ciò che lasceremo al Mondo e ai nostri figli. Vuol dire avere un senso politico della Storia. Come ebreo, però, voglio sperare che questo senso politico della storia diventi un qualcosa con cui anche i non ebrei vogliano fare i conti. Voglio sperare che alzare la voce contro i massacri di innocenti in Siria, contro le barbarie dell’Isis, contro gli accoltellamenti di ebrei in Israele, e anche per il diritto dei palestinesi a non avere uno Stato e un Governo che usi i suoi cittadini per accoltellare civili inermi e innocenti, sia un dovere di cui anche i non ebrei possano iniziare a farsi carico.