Il nuovo governo egiziano

I 10 Ministri scelti da Al Sisi per cambiare il Paese

Giancarlo Elia Valori
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Il nuovo governo egiziano

I 10 Ministri scelti da Al Sisi per cambiare il Paese

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Giancarlo Elia Valori
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General Abdel Fattah al-Sisi
Il leader e Presidente egiziano Ahmed Fattah Al Sisi, in un contesto internazionale, islamico e non, pericoloso per il suo Egitto, ha nominato dieci nuovi ministri nel governo nazionale, istituendo peraltro alcuni nuovi dicasteri. Il rimpasto nell’esecutivo del Cairo, imprevisto anche dagli insiders del regime egiziano, è avvenuto il 23 Marzo scorso e riguarda figure e ruoli non certo irrilevanti in qualsiasi governo. Il fine del rinnovo del Governo è, senza dubbio, la necessità di fronteggiare meglio la crisi economica e le sue conseguenze politiche, che potrebbero mettere in crisi la stabilità del regime postnasseriano di Al Sisi e, soprattutto, la sua efficacia nella repressione dell’insorgenza islamista nel Sinai; oltre che nella lotta interna contro i Fratelli Musulmani.

Andiamo per biografie professionali e politiche: il nuovo ministro della Giustizia è il giudice Hossam Abdel Rehim, nominato proprio dopo l’ infausta affermazione del suo predecessore riguardante il fatto che egli avrebbe messo in prigione perfino il profeta Maometto, se avesse infranto la legge.

Hossam Rehim è stato il presidente della corte di cassazione egiziana e del consiglio supremo legislativo, un organismo che sovrintende alle questioni amministrative interne alla giustizia ordinaria. Ogni nomina in questo organo, peraltro, dura solo quattro anni e non è rinnovabile.

Amr al Garthy è il nuovo ministro delle finanze, che sostituisce Hany Kadry Dimian, che era stato nominato a questo incarico prima dell’arrivo alla Presidenza di Al Sisi. Garthy deve soprattutto risolvere, mantenendo la piccola e insufficiente crescita economica egiziana del 2015, la grave carenza di divise estere e quindi una rilevante difficoltà per le importazioni. Dimian, il ministro uscente, ha peraltro dichiarato che l’Egitto avrà un gap di risorse finanziarie tra i 25 e i 30 miliardi di Usd nei prossimi tre anni. I finanziamenti che Dimian aveva ottenuto presso la Banca Mondiale, prima delle sue dimissioni, saranno concessi solo in collegamento con alcune riforme fiscali che il governo del Cairo deve assolutamente fare. Ciò riguarda soprattutto, per la Banca Mondiale, una tassa sul Valore Aggiunto che è ancora all’esame del parlamento egiziano. Garhy viene direttamente dal mondo del business: ha lavorato presso la Qalaa Holding, una importante finanziaria del Cairo che si occupa di petrolio, agrifood, trasporti e logistica, cemento, miniere. Prima, Garhy ha operato nella El Ahli Bank del Qatar, che si occupa di corporate banking e possiede 16 filiali in tutto l’Emirato. In seguito, prima di arrivare in Qalaa, Garhy ha svolto attività nella EFG Hermes e nella Banca Nazionale di Investimenti egiziana, dove si è occupato di quello che farà da ministro: la privatizzazione della Banca di Alessandria e la vendita dei titoli di Stato del Cairo sui mercati internazionali. EFG Hermes è peraltro una banca e una holding industriale che opera in sette Paesi del Medio Oriente, essendo ormai la prima investment bank per tutta l’area dal Marocco fino alla Giordania.

Per il dicastero degli investimenti, Al Sisi ha scelto Dahlia Korshed, già vice-presidente e tesoriere della Orascom Costruzioni, oltre ad essere stata vice-presidente alla Citibank egiziana.

Sono quattro, oggi, le donne al governo al Cairo.
L’idea di Al Sisi separare questo ministero da quello dell’Industria e del Commercio è il segno che il Presidente egiziano vuole privilegiare gli investimenti infrastrutturali e industriali rispetto alle spese, spesso improduttive, per il mantenimento dell’ormai elefantiaco apparato statale.
Lo vedremo in seguito.

Il problema principale è che, dopo il calo strutturale degli Investimenti Esteri Diretti successivo alla sedicente “rivoluzione” del 2011; e malgrado la conferenza sugli investimenti esteri tenuta da Al Sisi nel 2015 a Sharm El Sheikh, che non è stata certo un successo, i foreign direct investments non decollano affatto. Dal gennaio al marzo dell’anno scorso, gli FDI egiziani avevano raggiunto i 2,9 miliardi di Usd, per poi calare vertiginosamente a soli 690 milioni il trimestre successivo, per poi ancora ritornare nel Luglio-Settembre 2015 ad un livello, sempre insufficiente, di 1,39 miliardi di Usd. Per ora, gli investimenti più sicuri in Egitto arrivano soprattutto dall’Arabia Saudita, che ha promesso 8 miliardi di finanziamenti a progetto in cinque anni; e dalla Cina, che ha siglato alcuni importanti contratti con Il Cairo durante la recente visita di Xi Jinping in quel Paese.

L’Egitto ha una difficoltà primaria: non riesce sempre a ripagare gli investitori esteri, che sono in credito, oggi, di 547,2 milioni di Usd con il Cairo. E’ recente, e riguarda questo problema, l’annuncio della banca di emissione egiziana, che propone certificati di investimento in valuta locale con un interesse del 15% ma solo in valute estere, dato il tasso di svalutazione interno e la ancor presente sopravvalutazione della divisa egiziana.

Il nuovo ministro degli Affari Pubblici, Ashraf Al Sharqawi, deve controllare le imprese a capitale pubblico e sostenere la crescita delle start-ups. E’ ancora il direttore dell’amministrazione all’Università del Cairo ed è membro del consiglio di amministrazione della banca, sempre di proprietà pubblica, Misr. Sharqawi è stato presidente della Autorità di Supervisione Finanziaria Egiziana e fondatore, oltre che presidente esecutivo, della Commissione Nazionale per la Revisione Contabile. Per quel che riguarda la Misr, una storica (da 92 anni) attività bancaria di investimento e raccolta di risparmio dalla normale clientela, essa ha finora sostenuto la creazione e la crescita di molte imprese in tutti i settori produttivi e commerciali egiziani e compartecipa, oggi, a oltre 202 progetti, tra agrifood, comunicazioni, finanza e abitazioni per le classi povere. Opera peraltro anche con criteri di finanza islamica. Sharqawi vuole quindi soprattutto riformare e anche liberalizzare buona parte del settore delle imprese pubbliche.

E’ questo anche il progetto di Al Sisi, che ha annunciato che la banca centrale egiziana inietterà 25 miliardi di Usd per sostenere i crediti alle piccole e medie imprese; e che i prestiti alle PMI saranno comunque almeno il 20% di tutti i crediti concessi dalle banche, almeno per i prossimi quattro anni. Ricreare un forte mercato interno autopropulso, utilizzando i finanziamenti esteri e il leverage finanziario interno, questo è con ogni evidenza l’obiettivo del presidente egiziano. Un tasso di disoccupazione ufficiale del 12,9% , in leggera diminuzione rispetto all’anno scorso, è comunque un pericolo politico troppo forte da correre, in un contesto di forte (lo vedremo) di youth bulge, di scoppio demografico delle coorti in età da lavoro. I finanziamenti previsti da Al Sisi sono funzionali proprio ad una espansione dell’occupazione giovanile, che è il vero punctum dolens della soceità e dell’economia egiziane.

Il nuovo ministro del turismo, area-chiave per l’economia del Cairo, è Mohammed Yehia Rashed, che sostituisce il vecchio titolare del dicastero turistico Hisham Zaazou, che era stato riconfermato, nel settembre 2015, dal Primo Ministro Sharif Ismail. Piccolo conto da regolare in previsione della conferma a Premier di Ismail. Rashed ha lavorato per molti anni nella catena di alberghi internazionali Marriot, ed è stato responsabile dell’unità dedicata al turismo egiziano della agenzia kuwaitiana Al Kharafi. La società kuwaitiana Al Kharafi opera da oltre 100 anni nei settori delle costruzioni e del trading ed oggi del turismo inframediorientale. Dal 1960 opera come azienda per la costruzione di immobili, soprattutto turistici, e per le costruzioni civili in tutta l’area del Golfo. Il progetto di Al Sisi è qui evidente: mettere insieme costruttori, immobiliaristi e operatori turistici per l’espansione delle infrastrutture turistiche dell’Egitto. Il turismo, fondamentale per il Cairo, è peraltro il settore più in crisi dell’economia cairota. Dall’abbattimento del volo di linea russo nell’ottobre scorso, l’industria dell’ospitalità egiziana valeva 6,1 miliardi di Usd (e valeva 12,5 miliardi di dollari poco prima della “rivoluzione” del 2011) mentre, dalla fase della caduta dell’aereo turistico russo ad oggi, il business turistico egiziano è calato di 282 milioni di Usd al mese. Questi effetti negativi arrivano anche dopo che l’Egitto ha incaricato la ditta internazionale di sicurezza Control Risks, mentre la Russia non ha ancora riaperto i voli diretti verso l’Egitto. Ufficiali delle Forze di Sicurezza russe sono ancora stabilmente presenti negli aeroporti egiziani, mentre l’Italia ha riaperto tutti i canali turistici, soprattutto per quel che riguarda le compagnie low cost. Ma la Gran Bretagna impedisce ancora, tramite la Thomas Cook e le altre agenzie nazionali, i viaggi verso Sharm El Sheikh. Il compito di Rashed, vecchio uomo di alta hôtellerie, sarà quello di convincere soprattutto russi e britannici a riaprire le loro rotte turistiche verso il sud dell’Egitto e le aree archeologiche.

Per l’Aviazione Civile, Al Sisi ha scelto Sherif Fathy, già presidente della EgyptAir, ma Fathy ha lavorato ad alti livelli sia in KLM olandese che nella americana Northwest. Il nuovo ministro vuole sviluppare nuovi modelli di sicurezza aeroportuale “non convenzionali” e convincere ancora, insieme al suo collega del Turismo, i russi e gli inglesi a ritornare a Sharm.

Mohammed Safan è il nuovo ministro della Manodopera, ruolo che, in Egitto, riguarda anche la regolamentazione delle attività lavorative subordinate e l’accesso al lavoro da parte delle nuove generazioni e dei disoccupati. Safan è stato, prima dell’incarico governativo, il capo del sindacato dei lavoratori petroliferi ed è stato vice-segretario dei Sindacati Uniti Egiziani.

Per l’irrigazione, elemento fondamentale dell’economia e della società egiziane fin dai tempi di Ramsete I, Al Sisi ha nominato Mohammed Abdel-Atty, già capo dell’Autorità per il Nilo al ministero delle risorse idriche e della irrigazione. Centro strategico, il controllo del Nilo, non certo irrilevante dato che per l’Egitto, fin dai tempi di Re Farouk, è strategicamente essenziale securizzare le aree di rifornimento, in Africa, del fiume Nilo. “Voi greci siete ancora dei bambini, un vecchio tra i greci non esiste. Siete tutti spiritualmente giovani perché nelle vostre menti non avete nessuna antica opinione formatasi per lunga tradizione e nessuna conoscenza incanutita dal tempo. E il motivo è questo: avvennero e avverranno per l’umanità molte distruzioni in molti modi, le più grandi con il fuoco e l’acqua e altre minori per infinite altre cause”. Platone riporta nel Timeo qusto discorso di un sacerdote egizio a Solone, ma la civiltà antichissima che rendeva già adulti gli egiziani era legata al ciclo del fiume Nilo, è bene non dimenticarlo. E la sicurezza del Nilo alle sue fonti è anche un grave problema militare e di sicurezza, soprattutto riguardo al’instabilità poliennale che proviene dall’area dei Grandi Laghi africani. Abdel-Atty ha, infatti, ottmi rapporti con le autorità etiopiche, rapporti utilissimi per far ripartire il progetto della “Grande Diga del Rinascenza”. Atty ha peraltro sempre sostenuto, nei suoi interventi pubblici, la necessità di porre rimedio, in tempo utile, al dramma progressivo della carenza strutturale di acqua in Egitto.

Nuovo ministro dei trasporti è Galaal Al Saleed, già ministro nello stesso dicastero sotto il governo del Consiglio Supremo delle Forze Armate, nel 2011. Successivamente, Al Saleed divenne governatore generale del Cairo.

Per fare il titolare del dicastero delle Antichità, Al Sisi ha scelto Khaled Al-Anany. Nel 2015 Al-Anany è diventato supervisore generale del Grande Museo Egizio, ma prima era stato il direttore generale del Museo della Civiltà Egizia.

Infine, l’ultimo ministro nominato ex-novo da Al Sisi è Nihal El Megharbel, come vice titolare del dicastero della pianificazione.
Qual è quindi l’obiettivo politico di Al Sisi con queste nuove nomine?
Probabilmente quello di guadagnare tempo sul fronte interno, mentre il governo egiziano si attrezza ad una nuova strategia di suasion e di effettive nuove possibilità da offrire per gli investimenti esteri, mentre si tenta una liberalizzazione controllata dei mercati interni. La sostanza delle scelte ci fa presentire una certo pessimismo, da parte di Al Sisi, sulle potenzialità economiche future dell’Egitto. Il Primo Ministro Sherif ha già reso noto, in un documento di 205 pagine reso pubblico pochi giorni fa, che il tasso di disoccupazione è salito dal 9% del 2009-2010 all’attuale, lo abbiamo visto, anche sia pure “condizionato”, del 13,3%. Se poi mettiamo in conto che la popolazione totale egiziana è cresciuta da 77 milioni ai 90 attuali, sempre per far riferimento al periodo dal 2009 al 2014, la situazione diviene estremamente critica. I sussidi pubblici per l’alimentazione e i carburanti sono raddoppiati, sempre dal 2009 al 2014, e l’inflazione, come era facile prevedere, è schizzata in alto tanto da costringere la Banca Centrale Egiziana ad una svalutazione di circa il 13% all’inizio di questo mese di Marzo.
Intanto, aumentano inevitabilmente le spese militari e la crescita, per quello che abbiamo già detto sul turismo e gli Investimenti Esteri Diretti, cala in modo sensibile. Peraltro, i segnali di mercato indicano che la divisa egiziana è ancora sopravvalutata, e quindi i prezzi sono ulteriormente aumentati. Se non arriverà un’altra svalutazione, allora occorrerà una immissione di capitali freschi (esteri) per sostenere il corso della divisa egiziana. Uno scenario economico e sociale, questo, simile a quello che consentì, all’interno di una ingenua operazione di coloured revolution nordamericana, la caduta di Hosni Mubarak.
Furono però i Fratelli Musulmani, fornendo la guardia pretoriana ai manifestanti di Piazza Tahrir, tra i quali primeggiavano la sorella di Al Zarkawi, il leader di Al Qaeda, e il capo di Google in Egitto, a costruire la vittoria elettorale di Mohammed Morsi, garantita dal welfare religioso della Fratellanza per gli infiniti proletari egiziani. Poi il noto golpe bianco di Al Sisi, la scoperta dell’apertura di Morsi al jihad nel Sinai, e siamo qui alla storia di ieri. Il problema, Al Sisi lo sa benissimo, è che il 75% della spesa pubblica va in salari e sussidi. Si tratta di evitare sia la caduta dei salari, con le conseguenti rivolte di massa, sia l’aumento dei prezzi, che avrebbe lo stesso effetto politico. La spesa pubblica che Al Sisi non può mai ridurre è quella per le Forze Armate, il vero leader dell’economia egiziana; ma le rivolte in fase di programmazione potrebbero distruggere tutti gli sforzi razionali di riforma dell’economia egiziana immaginati dal Al Sisi.
Se il nuovo governo riuscirà a riformare l’economia e a richiamare, con un nuovo clima di sicurezza interna, i capitali necessari per quello che Walt Rostow chiamava, e si riferiva all’India negli anni ’60, il decollo economico, allora tutto andrà bene e avremo sicurezza strategica, anche per l’EU, sul Canale di Suez e in Sinai. Altrimenti la crisi egiziana si ripresenterà, con due copioni ormai già noti: il golpe fondamentalista e l’arrivo dei capitali del jihad e dei Paesi che lo sponsorizzano. Oppure avremo l’involuzione economica senza fine dell’Egitto, con l’aggiunta del paese più antico della civiltà mediterranea alla sequenza di masse in arrivo sulle nostre coste.
E’ bene pensare anche a questi fatti, quando si chiede, con buon diritto, la verità sull’assassinio di Giulio Regeni.

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