Continua a tenere banco in Israele la questione relativa al possibile crollo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ad infiammare il dibattito ci sono le ultime dichiarazioni del Segretario di Stato statunitense John Kerry che al Saban Forum di Washington ha evidenziato come questa possibilità stia diventando sempre più realistica.
L’amministrazione USA negli ultimi anni si è resa protagonista di numerosi scivoloni in politica estera, errori che si sono dimostrati fatali soprattutto in Medio Oriente. Questa volta però sembra che John Kerry sia sulla strada giusta: l’attentato di giovedì 3 Dicembre, in cui un membro delle forze di sicurezza palestinesi di nome Mazen Aribe ha aperto il fuoco su alcuni soldati israeliani al checkpoint di Hizme, è la prova che il destino dell’organizzazione guidata da Mahmoud Abbas è a un punto di svolta. L’Autorità Nazionale Palestinese, invece di condannare il gesto o prenderne le distanze, ha inviato il negoziatore capo dell’OLP Saeb Erekat e il Sindaco di Gerico a casa della famiglia dell’attentatore, morto in seguito alla reazione dei soldati, in segno di solidarietà. Questo gesto conferma implicitamente il sostegno dell’ANP e dell’OLP al terrorismo contro Israele.
Finora le forze di sicurezza palestinesi avevano mantenuto un alto livello di disciplina e la loro continua collaborazione con il COGAT (l’ufficio che si occupa di coordinare le attività governative nei Territori Contesi) è sempre stata reputata di vitale importanza per la sicurezza di Israele, soprattutto in periodi intensi come quello iniziato a Settembre. Tuttavia questo ultimo incidente pone degli enormi punti interrogativi su come e quanto questa collaborazione continuerà e sulla tenuta disciplinare degli agenti palestinesi.
Il timore è che questo attentato sia l’inizio della disintegrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese. Può darsi si tratti di un incidente isolato ma esiste sempre la possibilità che alcuni agenti palestinesi decidano di effettuare un attacco su più ampia scala causando diverse vittime e scatenando l’inevitabile risposta israeliana. A quel punto l’intera struttura di sicurezza palestinese potrebbe perdere fiducia nella collaborazione con Israele e il gesto isolato potrebbe trasformarsi nella scintilla in grado di far scoppiare una rivolta simile alla Seconda Intifada quando diversi agenti di sicurezza palestinesi si unirono all’ondata di attentati terroristici. Tutto questo renderebbe inevitabile la cessazione di ogni cooperazione fra Israele e Autorità Nazionale Palestinese, specialmente nel campo della sicurezza. Senza contare poi l’enorme arma a disposizione di Israele che può in ogni momento bloccare il trasferimento dei fondi raccolti attraverso le tasse, denaro che l’organizzazione di Abbas utilizza per pagare gli stipendi. Nessuna forza di polizia e nessuna forma di autogoverno, ecco quindi che la possibilità di un dissolvimento dell’Autorità Nazionale Palestinese non è più così remota.
Quali sarebbero allora le conseguenze? Caos totale nella West Bank, una situazione favorevole a Hamas o ad altri gruppi terroristici fra cui lo Stato Islamico. Israele sarebbe quindi costretto a dispiegare un grande numero di truppe nei Territori Contesi per mantenere l’ordine, un peso enorme sia dal punto di vista economico sia da quello sociale perché alla lunga significherebbe rinunciare alla soluzione a due Stati.
Se davvero ci stiamo dirigendo verso questo scenario i colpevoli sono chiaramente due, uno a Ramallah e uno a Washington. In particolare Obama ha dimostrato una certa ignoranza rispetto ai problemi del Medio Oriente. Il Presidente americano ha cercato ossessivamente di venire incontro alle richieste di Abbas, quando poi si è reso conto che per dare avvio a un negoziato credibile era necessario ascoltare anche le esigenze israeliane era ormai troppo tardi: Abbas non siede più al tavolo delle trattative e non lo farà finché non verranno accolte tutte le sue precondizioni. Senza contare poi la scelta di ritirare frettolosamente le truppe dall’Iraq, le continue indecisioni sul destino della Siria e l’accordo sul programma nucleare iraniano salutato inspiegabilmente come una vittoria della sua amministrazione, errori che peseranno sulle spalle del mondo per molto tempo.
Oggi il Medio Oriente si ritrova con due Stati ormai falliti come la Siria e l’Iraq in mano al Califfato Islamico, un Iran rinvigorito nella sua aggressiva politica di espansione grazie alla legittimazione internazionale ottenuta dall’accordo sul programma nucleare e un Israele, unica fortezza occidentale nella regione, costretto ad affrontare ormai quotidianamente il problema terrorismo nella più completa solitudine. Fra un anno Obama lascerà il suo incarico, probabilmente lo farà con un Medio Oriente ridotto ad un cumulo di macerie. Per questo Israele deve prepararsi a qualsiasi terribile scenario gli si possa presentare. Sembra un paradosso ma la dissoluzione di un nemico storico è oggi la peggiore delle possibilità.