La sigla BDS è tristemente nota. Sta per Boycott, Divestment and Sanctions, e Il movimento che l’ha adottata non rivolge le sue attività contro una delle tante tirannie presenti al mondo, luoghi in cui i diritti umani sono calpestati ogni giorno, ma verso l’unica democrazia del medioriente, un faro di civiltà nel marasma islamico: Israele. Per questo motivo, vedere la sigla BDS associata al nome “La Sapienza” lascia presumere qualcosa di profondamente sbagliato, specie ora che il Rettore si è schierato apertamente a favore di Israele e contro il BDS. Accettare infatti che la più grande università italiana conceda alcune aule ai predicatori della distruzione di Israele equivale a rinunciare a un pezzo di civiltà.
I metodi del BDS sono subdoli fin dalla sua fondazione. Il suo fine è chiaro: ridurre i cittadini israeliani alla fame, creare miseria e disperazione facendo ricorso a un’arma, quella del boicottaggio, ma viene dissimulata attraverso la parvenza di “protesta pacifica” . Oggi il boicottaggio, modus operandi caro ai nazisti, è, per una strana simmetria del destino, divenuto un cavallo di battaglia dell’estrema sinistra filoislamica. Dando spazio al BDS, i luoghi di cultura e condivisione diventano così centri di propagazione dell’antisemitismo travestito da antisionismo. Le voci e i volti proposti per gli incontri che si terranno il 2 Marzo presso la Facoltà di Economia sono quelli degli odiatori di Israele. Ci sarà l’onnipresente Bassam Saleh, rappresentante di Fatah in Italia. Da oltre dieci anni, Saleh è il prezzemolino degli incontri anti-israeliani organizzati da collettivi di sinistra e associazioni per la “pace”. Ovviamente, nessuno osa mai domandargli che fine abbiano fatto i 6 miliardi di euro, pagati anche dai contribuenti italiani, con cui l’UE ha rimpinguato le casse de l’Autorità Palestinese e dell’OLP fra 2007 e 2012. Invece di utilizzarli per interventi economici strutturali o costruzione di scuole e strade, i vertici di Fatah ne hanno intascato e nascosto buona parte, seguendo l’esempio del defunto Arafat, che aveva occultato un patrimonio personale superiore al miliardo di euro.
Saleh recita la parte dell’oppresso, quando la corruzione del suo partito è una delle cause principali dei problemi palestinesi. Puntare il dito contro Israele è il modo più semplice e diretto per ottenere altri aiuti e finanziamenti europei. Il 18 febbraio 2006, in un’intervista al quotidiano online “Essere Comunisti” (all’indomani della vittoria elettorale di Hamas), Saleh dichiarava “lo scalpore suscitato in Europa ed in Occidente dalla vittoria di Hamas è privo di senso e manca di rispetto nei confronti della volontà democratica del popolo palestinese” e non si faceva problemi a chiedere, anche per Hamas (in procinto di entrare nell’OLP), i solito aiuti economici “All’Unione Europea ed ai governi chiediamo invece il rispetto degli impegni già presi con l’Autorità Nazionale Palestinese. Quindi aiuti economici e pressione sul governo israeliano perché si ritiri dai territori occupati nel ’67”. In un’altra intervista, del luglio 2014, attribuisce addirittura all’occupazione israeliana la colpa della morte dei tre ragazzi ebrei rapiti e massacrati da Hamas in Giudea proprio due anni fa. Oltre a lui, è prevista anche la presenza della regista Franca Marini, che proietterà il solito film strappalacrime su Gaza grazie all’organizzazione del Collettivo Economia La Sapienza, che partecipa in prima linea alla festa dell’antisemitismo nota come Israeli Apartheid Week (IAW).
Il 4 marzo era anche previsto l’intervento di una firmataria del Boicottaggio (a quale titolo?) del Technion di Haifa, Simona Borioni, ai vertici di BDS Italia. Parliamo di una persona che ha definito Israele: “uno stato confessionale, che discrimina i propri cittadini in base all’etnia e alla religione” e che parla di “giudaizzazione di Gerusalemme a tappe forzate”. Sul suo profilo Facebook, definisce Pierluigi Battista, Maurizio Molinari e altri giornalisti come “figure demenziali” e quasi ogni post trasuda odio verso Israele. “Apartheid”, “genocidio”, “pulizia etnica”, sono tutte parole utilizzate partendo dal manuale del perfetto sostenitore del BDS, ma non hanno alcun riscontro nella realtà storica di Israele presente o passata. Basti pensare alla presunta “pulizia etnica” dei palestinesi, sbandierata sui siti e durante le manifestazioni, che si è rivelata essere una completa invenzione, visto che i palestinesi di Gaza e West-bank sono passati da 1 milione nel 1970 a 4.1 milioni nel 2010. Quadruplicati in quaranta anni
Odio è l’unica parola adatta a definire l’oggetto di questi incontri. Di recente anche l’Alta Corte francese ha definito la comunicazione del BDS una forma di “odio e discriminazione”, condannando diversi attivisti al pagamento di una sanzione per le loro azioni. Questo è un altro punto su cui è necessario riflettere: proprio mentre il mondo civile sta comprendendo l’intrinseca illegalità del BDS, la Sapienza non può e non deve accettare che le sua aule divengano il tramite dell’odio antiebraico. Diversi stati degli USA hanno infatti già proibito il boicottaggio di Israele e l’Inghilterra, nonostante i massicci finanziamenti islamici ricevuti dalle università e dai movimenti affiliati al BDS, si appresta a fare altrettanto. Il nostro paese, che dovrebbe seguirne l’esempio, si distingue invece per un grottesco boicottaggio accademico nei confronti di uno degli atenei più prestigiosi del mondo, il Technion, cui si aggiunge il marchio d’infamia rappresentato dal plauso e dal sostengo ricevuto da di diversi gruppi terroristici, primo fra tutti Hamas.