Raccontare la Shoah attraverso il cinema è stata, negli ultimi 10-15 anni, un’operazione abbastanza comune e spesso vincente. Da “La Vita è Bella” a “Schindler’s List” sono molti i film premiati dalla Academy Award ambientati durante le persecuzioni naziste. Quest’anno però nella categoria miglior film straniero ha trionfato “Ida”,scritto e diretto dal polacco Pawel Pawlikowski, pellicola che getta uno sguardo nel territorio meno esplorato del periodo successivo alla fine della guerra.
Ambientato nella Polonia del 1962, “Ida” narra la storia di una ragazza in procinto di diventare suora che scopre, attraverso sua zia, di essere nata da una famiglia di ebrei sterminati dai nazisti. In un viaggio alla ricerca dei restanti membri della famiglia Ida scopre che l’intera società polacca è determinata a dimenticare ciò che è successo ai suoi abitanti ebrei. E’ significativo che le due protagoniste siano le uniche presenze ebraiche nel film: nessun rabbino, nessuna comunità, nessuna tradizione e soprattutto nessuna memoria. Probabilmente può essere considerata una storia autobiografica visto che lo stesso Pawlikowski ha scoperto solo in età adulta di essere figlio di una donna ebrea deportata e morta ad Auschwitz durante la guerra.
Nonostante le tantissime positive reazioni all’estero (soprattutto in Francia e Regno Unito), la trattazione di alcuni temi considerati quasi tabù come l’assassinio degli ebrei in cerca di rifugio da parte dei polacchi ha scatenato alcune proteste in patria, soprattutto da parte del partito nazionalista. Sotto il profilo tecnico, fin dalla sua uscita “Ida” ha impressionato favorevolmente per la sua complessa trama e per l’estetica minimalista.
Proprio il regista nel backstage si è scagliato contro la stampa che nei giorni precedenti aveva additato il film come “uno dei soliti film sull’Olocausto” affermando che non è una storia sulla Shoah ma sulla società polacca e sul vuoto lasciato dalle deportazioni e dalla migrazione in Israele della popolazione ebraica.