Molte persone non sono state in grado di recepire la memoria della Shoah. I milioni di morti, le atrocità subite, il dolore delle vittime sembrano essere arrivati alle ultime generazioni come scatole vuote.
Il rispetto che si deve a questa tragedia dell’umanità continua a essere sempre di meno, ogni giorno che passa.
Dalle facili ironie su Anna Frank agli insulti a Liliana Segre, passando per ultimo leitmotiv che vuole il Green Pass una costrizione come le barbarie subite dagli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Da questo calderone irrispettoso e poco edificante, sono entrati a far parte anche i giochi. Dopo “Secret Hitler” e il “Gioco nazista”, ultimo in ordine di tempo è “Heal Hitler” (guarire Hitler), un videogame, ambientato nel 1925, dove il giocatore veste i panni dello psicologo e deve curare la pazzia di Adolf Hitler.
La descrizione del gioco, che si basa sull’assonanza Heil-Heal Hitler, recita:
“Sei lo psicologo di Hitler nel 1925. Diagnostica i suoi problemi usando la psicoterapia junghiana e freudiana e tenta di guarirlo. Se avrai successo eviterai la guerra”.
Il Führer viene presentato come un “nuovo cliente, il signor Hitler” che dice di avere “problemi di rabbia”:
“Utilizzerai tecniche psicoanalitiche per diagnosticare la fonte del suo trauma, che potrebbe scatenare la sua rabbia e il suo odio”.
Il gioco non è stato salutato come erano gli intenti del suo ideatore, Jon Aegis, secondo cui Heal Hitler è pensato in ogni dettaglio e una sua funzione salvifica.
Di tutt’altro avviso, Daniel Kennedy, studioso della Shoah, che ritiene il videogioco “incredibilmente di cattivo gusto”:
“L’intera premessa del gioco è di così cattivo gusto che posso solo supporre che sia stata deliberatamente progettata per causare offesa”.
Più di qualcosa è andato storto nella trasmissione della memoria della Shoah, la cui banalizzazione è in atto già da alcuni anni.
Una banalizzazione che va combattuta con ogni mezzo lecito possibile, perché non si può scherzare sul dolore e sulla morte di milioni di persone.