Giugno 1967. Israele è nato da 19 anni, tempo che non ha scalfito le granitiche pozioni dei paesi arabi circostanti che non vogliono avere alcun rapporto con lo Stato ebraico. Anzi. Annunciano la sua distruzione grazie a un’imminente guerra che dovrebbe mettere fine all’esistenza del popolo ebraico nell’area.
Un ammonimento pieno di odio nonostante le parole del primo ministro israeliano Eshkol che si rivolge agli stati arabi, dicendo di non voler far la guerra né “colpire la sicurezza, né il territorio, né i diritti dei vostri paesi”.
Parole pronunciate il 24 maggio. Parole che rimangono inascoltate. Solo tre giorni dopo il presidente dell’Egitto Nasser non usa mezzi termini per esprimere il suo rancore verso Israele:
“Il nostro obiettivo di fondo sarà la distruzione di Israele. Il popolo arabo vuole combattere. Il significato del blocco di Sharm el-Sheikh è quello di uno scontro con Israele: avendo adottato quella misura siamo obbligati a prepararci ad una guerra generale con Israele”.
Passano quattro giorni e arriviamo al 31 maggio, quando il presidente iracheno Abdel Rahman Aref afferma:
“L’esistenza di Israele è un errore che deve essere rettificato. Questa è l’occasione che abbiamo per cancellare questa ignominia che ci accompagna sin dal 1948. Il nostro obiettivo è chiaro: cancellare Israele dalla carta geografica”.
Poche ore dopo e il presidente dell’Olp Ahmed Shukairy dichiara:
“O noi o gli israeliani, non ci sono vie di mezzo. Gli ebrei di Palestina dovranno andarsene. Agevoleremo la loro partenza dalle loro case. Chi sopravvivrà dell’antica popolazione ebraica di Palestina potrà restare, ma ho l’impressione che nessuno di essi sopravvivrà”.
Il mondo arabo vuole distruggere Israele.
Il 22 maggio 1967 l’Egitto aveva chiuso gli stretti di Tiran (Sharm el-Sheikh) alla navigazione israeliana. Sul piano del diritto internazionale, il blocco degli stretti è l’atto di aggressione che segna l’inizio della guerra.
Con il passare dei giorni la tensione aumenta. I leader arabi minacciano la distruzione di Israele. Israele che non può rimanere inerme. Non può consentire che i paesi vicini minaccino la sua cancellazione.
E allora, il 5 giugno lancia un attacco a sorpresa distruggendo a terra l’85% della forza aerea egiziana. Alle 7:45 compie uno degli attacchi preventivi più famosi e meglio riuscito della secolo.
È tutto studiato nei dettagli: l’orario scelto coincide con il momento in cui avveniva il primo cambio della guardia della giornata e solo pochi giorni prima il governo israeliano aveva deciso di concedere un weekend di riposo a diversi suoi riservisti, per lasciare credere agli avversari di non pensare a un possibile attacco avversario.
È una guerra lampo. Israele riunifica Gerusalemme, conquista le alture del Golan e parte della West Bank, il Sinai e la Striscia di Gaza.
Pochi giorni in cui i paesi arabi accettano il cessate il fuoco. Pochi giorni in cui i paesi arabi passano dalla volontà di distruggere Israele all’accettazione di una sconfitta che hanno ricevuto perché hanno minacciato l’esistenza di uno Stato che voleva la pace e voleva far vivere serenamente i suoi cittadini.