Gli ebrei di Libia che si trovano nella Golà (Diaspora), che in questi mesi festeggiano i 50 anni dall’uscita dalla Libia, sono spesso accusati di non avere abbastanza educazione civica. In particolare per quelli che vivono a Roma, spesso danno l’impressione di non interessarsi alla vita comunitaria, di non partecipare alle cerimonie commemorative del nostro passato di ebrei, di non avere a cuore neanche la politica del paese.
Certamente quando gli ebrei vivevano ancora in Libia, non si sono mai considerati, né sono stati considerati dagli arabi (non avevano nemmeno diritto ad avere un passaporto), libici. Sono sempre stati una enclave unita e chiusa alle sollecitazioni esterne. Questo loro atteggiamento di non volersi mischiare ai popoli che nei secoli hanno abitato e comandato la Libia, ha permesso loro di mantenere una forte identità ebraica nel corso dei millenni (si presume che i primi ebrei arrivarono in Libia a partire dalla distruzione del primo tempio di Gerusalemme nel 586 A.E.V.).
Berberi, romani, egizi, turchi ottomani, arabi, italiani. Gli ebrei sono stati sotto il loro dominio, più o meno duro, per 2500 anni. Hanno adottato molti usi e costumi come il cibo e l’abbigliamento, e anche una parte di lingua, perché il dialetto arabo-giudaico è più vicino all’arabo che all’ebraico (similmente al dialetto giudaico-romanesco, più vicino all’italiano che all’ebraico), ma durante tutti questi anni il centro della loro vita è sempre stata la Torà.
La religione è sempre stata il centro della vita comunitaria degli ebrei di Libia, ma per sentirsi parte di un popolo, c’è bisogno di avere una patria, o almeno un ideale di patria. E la Libia non è mai stata la patria degli ebrei libici.
Per gli ebrei libici l’unica vera patria sognata, pregata, agognata è stata Israele. E quando nel 1948 finalmente il sogno si è avverato, tra gli anni 1949-50 circa 40mila ebrei fecero l’Alyià. In Libia rimasero meno di 6mila ebrei.
Questi lasciarono la Libia nel 1967, dopo la guerra dei Sei Giorni. Una metà andò in Israele e l’altra metà arrivò qui in Italia, in maggioranza a Roma. Ma anche qui l’appartenenza allo Stato ospite non è scattata.
Ricordo che mio padre, le persone della sua generazione e quelle della generazione precedente, anche dopo essere arrivati in Italia, anche dopo aver ottenuto il passaporto italiano, simbolo di una libertà vera, nemmeno sognata in Libia, non si sono mai considerati italiani.
Per tutte le generazioni da sempre l’unica vera patria è sempre stata Israele.
Il documento* prodotto dalla Rabbanut Centrale di Tripolitania, conferma questa tesi in modo inconfutabile. Nessun rabbino in Israele ha comandato che i bambini nati nella settimana di Yom ha-Azmaut si debbano chiamare Israel e Ziona. Una scelta forte ed anche molto coraggiosa, vista la difficoltà di portare tutti i giorni della vita un nome come Israel in un paese apertamente antisemita e antisionista.
Altrettanto coraggiosa è la decisione di tenere chiusi i negozi nel giorno che gli arabi chiamano la Nakba, la catastrofe. Possiamo immaginare la loro furia contro le attività degli ebrei chiuse, sapendo che erano chiuse in segno di festeggiamento.
La determinazione di dichiarare il giorno dell’indipendenza dello Stato di Israele, Yom hag ve-moed, giorno di festa e di aggregazione, racconta quanto la terra di Israele e lo Stato di Israele siano considerati parte integrante della nostra religione.
Questo documento dimostra al di là di ogni dubbio che gli ebrei della Libia hanno un forte senso civico e un fortissimo senso di appartenenza.
Il loro paese? Israele.
I loro fratelli? Il popolo ebraico.
Hag ha-Atzmaut sameach.
*La traduzione del testo del documento recita quanto segue:
YOM HA-AZMAUT 5 YIAAR HA-TASHAT (1949)
Noi e i nostri fratelli in tutte le sante comunità di Tripolitania, che Dio sia sopra di loro e li tenga in vita, secondo gli ordini del governo di Israele e dei rabbini capo di Israele, determiniamo il giorno 5 di Yiaar, giorno dell’Indipendenza di Israele, come giornata festiva (hag ve moed klali) in tutti gli anni a venire in Israele e nelle comunità della diaspora. Per questo motivo, noi e il consiglio della Comunità Ebraica, il Tribunale Rabbinico, la Rabbanut centrale della Tripolitania, che Dio li protegga, impartiamo l’ordine che tutti i nostri fratelli che abitano in questa golà si comportino nel giorno dell’indipendenza questo anno e gli anni a venire seguendo le seguenti regole. Noi ordiniamo di seguire queste regole per sempre e le parole dei saggi siano piantate [in voi] come dei semi [nella terra].
1) Ogni figlio maschio che nasce nella Comunità Ebraica di Tripolitania, che Dio la protegga, durante la settimana in cui cade Yom ha-Azmaut, deve essere chiamato Israel. E le figlie femmine devono essere chiamate Ziona.
2) Yom ha-Azmaut sarà un giorno di festa. Si leggeranno l’Hallel e salmi di ringraziamento, si faranno banchetti con allegria e si daranno regali ai poveri. È obbligo per ogni ebreo aumentare i regali ai poveri per tutto il giorno e aumentare i banchetti (e chi non ha la possibilità, deve fare almeno un pranzo con carne e vino), in mezzo al pranzo, tra le portate bisogna cantare salmi di ringraziamento al Signore ([in particolare i salmi] 122, 126) e altre canzoni di ringraziamento. Questa Seudà è da considerarsi una Seudat Mitzvà.
3) Tutti i negozi e le attività commerciali saranno chiuse in questo giorno.
ARVIT (preghiera serale)
4) Non si dice Tachanun in questa giornata e in Minchà del giorno precedente.5) Si va al Beth haKnesset indossando abiti della festa. Si recita il salmo 122- Samachti be omrim li nelech e il salmo 126 Beshuv H et shivat Zion, si prega come nei giorni feriali e si termina con Ygdal Elokim Hai
SHACHRIT (preghiera mattutina)
6) Si viene al tempio indossando vestiti di festa. Si prega, con Talit e Tefilin, la tefillà feriale con l’aggiunta di Nishmat kol hai. Si canta Nakdishà e si legge l’Hallel.7) Si sventola la bandiera di Israele prima di far uscire il Sefer Torà
8) Si fa uscire il Sefer Torà e si leggono tre salite dalla parashà Ki Tavò fino kahasher dibber, e si legge la aftarà di Isaia capitolo 50, Kumi Ori ki ba orech, fino alla fine del capitolo. Dopo la lettura del Sefer Torà, il hazan leggerà la berachà della libertà e del ringraziamento che è stata scritta appositamente per Yom ha-Azmaut dalla Rabbanut centrale di Tripolitania, allegata a questo documento, e dopo si leggerà la tefillà per la salvezza dello Stato di Israele che è stata scritta dalla Rabbanut centrale di Israele, che noi abbiamo accettato di leggere qui ogni sabato e ogni giorno festivo.
9) Il hazan o il rabbino fa una derashà che spinga alla Teshuvà, si riporta il Sefer Torà dentro l’Aron e tutto il kahal legge i salmi 122 e 126.
MINCHÀ (preghiera pomeridiana)
10) Si legge Uva Le Zion Goel. Si fa uscire il Sefer Torà e si leggono tre salite della parashà Kedoshim, dall’inizio della parashà e fino a shenì. SI legge l’Aftarà da Zacaria 8,7 (Co amar H) fino alla fine del capitolo. Dopo la Aftarà, si leggerà la berachà della libertà e del ringraziamento che è stata scritta appositamente per Yom ha-Azmaut dalla Rabbanut centrale di Tripolitania, e dopo si leggerà la tefillà per la salvezza dello Stato di Israele che è stata scritta dalla Rabbanut centrale di Israele.Si leggerà una azkarà per tutti i santi che sono caduti per la libertà di Israele, il mishibberach per il kahal, si riporta il Sefer Torà al suo posto dentro l’Aron, si legge il salmo 126 e si prega come nei giorni feriali.
Il Consiglio della Comunità Ebraica di Tripolitania, L’Agenzia Ebraica per lo Stato di Israele e l’ufficio immigrazione degli ebrei di Libia, il Tribunale Rabbinico, La Rabbanut Centrale