È morto a Roma Giuseppe Di Porto, uno degli ultimi sopravvissuti ai campi di stermino nazisti. A comunicare il decesso di quello che tutti chiamavano Peppe è stata la nota della presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, e del Rabbino capo Riccardo Di Segni:
“Un dolore enorme per la nostra comunità, Giuseppe è stato una figura fondamentale nel raccontare la tragedia della Shoah. Insieme a Marisa, anche lei sopravvissuta, ha costruito una famiglia ebraica numerosa che è stata la risposta più bella e significativa nei confronti di chi voleva distruggere il popolo ebraico. Alla famiglia la nostra più sentita vicinanza”.
Marisa era la moglie di Giuseppe sposata nel 1949, quattro anni dopo esser tornato in Italia dall’Inferno, che Peppe era riuscito inizialmente a evitare (il giorno del rastrellamento del quartiere ebraico di Roma, il 16 ottobre 1943, infatti, la famiglia Di Porto era a Genova dove aveva trovato rifugio dopo aver lasciato la Capitale).
Inferno che lo colpì il 3 novembre dello stesso anno proprio nel capoluogo ligure. Da quel momento la sua vita di giovane venditore ambulante cambiò per sempre: venne arrestato dai nazisti e portato nel carcere di Marassi, in cui rimase prigioniero per circa un mese. Poi venne trasferito a San Vittore, a Milano, l’anticamera del campo di Monowitz, in Polonia.
In quell’orrore, che condivise con il cugino Amedeo, iniziò di fatto la sua deportazione. All’inizio del 1945, i tedeschi li diedero notizia che avrebbe dovuto raggiungere la Germania a piedi a causa dell’avanzata dell’Armata Rossa in quella che è tristamente nota come la “marcia della morte”: tre giorni nella neve sotto la sorveglianza dei soldati del Reich. Una notte, Giuseppe riuscì a scappare, trovando rifugio nei boschi, ma venne catturato dalle truppe russi per cui fu costretto a lavorare per circa otto mesi. Fece ritorno a Roma l’8 ottobre 1945.
È alle persone come Giuseppe Di Porto, detto Peppe, che dobbiamo il rafforzamento della memoria, ancora viva nelle generazioni venute dopo la Guerra. Ed è sempre alle persone come Giuseppe Di Porto, detto Peppe, che ci hanno insegnato, loro malgrado, a non arrendersi mai, anche davanti all’Inferno.
Ieri a Roma si sono svolti i suoi funerali, a cui hanno partecipato tantissime persone, fra cui nipoti e pronipoti. Fra queste, tanti giovani che hanno voluto salutare colui che negli anni era diventato “Zio Peppe”.