Riciclatore di quanto può essere avverso ad Israele l’Huffington Post è ugola assai solerte nel propalare notizie tendenziose e false, vere e proprie fole, quando non leggende nere. La corrispondente Giulia Belardelli si presta alla bisogna, qualcuno dovrà ben farlo. E dunque accade che in un articolo di inizio febbraio “Israele sta usando il turismo per legittimare i suoi insediamenti a Gerusalemme Est”, la denuncia in un report Ue si racconti che Israele oltre alla terribile arma del cemento (e di questo abbiamo già dato conto) per opprimere le “vittime” palestinesi ora armerebbe pure il turismo.
La metafora è scontata, ma piace a chi si rappresenta lo Stato ebraico come una distopia militare in cui militi spietati e coloni fanatici opprimono la popolazione autoctona discendente dai Gebusei financo dai Canaanei. La Berardelli ci informa dunque che c’è un allarme lanciato dai capi missione della UE:
“Israele – denunciano i diplomatici Ue – sta sviluppando siti archeologici e turistici per legittimare insediamenti illegali nei quartieri palestinesi di Gerusalemme. Il rapporto cita progetti in alcune parti di Gerusalemme Est – occupate da Israele dal 1967 – che vengono usati come ‘strumento politico per modificare la narrativa storica e sostenere, legittimare ed espandere gli insediamenti’”.
L’assunto è sempre quello. Tutto ciò che si muove in Israele è “strumento politico”, ogni azione, ogni sospiro, naturalmente e sempre ai danni delle ormai imperiture “vittime” così designate a Mosca dalla Guerra dei Sei Giorni in poi, cioè esattamente cinquantuno anni fa. Quando si vuole parlare di “narrativa” occorre però stare attenti perché si rischia di fare come il bue che dà del cornuto all’asino.
Il rapporto UE approda al Guardian, una delle testate più visceralmente anti-israeliane europee, e da lì, con amorevole attenzione, l’Huffington Post lo preleva. Nel rapporto UE nessuna menzione viene riservata al fatto che i “progetti turistici pensati per la parte palestinese della città”, non potranno che portare benefici economici in una zona che vive soprattutto grazie al turismo. Così come appare astruso il nesso tra “siti archeologici” e “insediamenti illegali”. Più onesto sarebbe stato fare riferimento ai siti archeologici israeliani che, mese dopo mese, portano alla luce nuove prove di episodi ricordati nella Bibbia ebraica o Vecchio Testamento per i cristiani. Ma ciò disturba assai la narrativa araba, quella che fa del Muro Occidentale, del Monte del Tempio e delle Tombe dei Patriarchi, secondo la vulgata UNESCO, siti islamici o palestinesi che dir si voglia. Così accade che reperti di valore scavati illegalmente sul Monte del Tempio vengano gettati nelle discariche. Ma l’Europa in questo caso sembra voltarsi altrove quando si tratta di sottolineare i legami storici degli ebrei con Gerusalemme.
Nello “scottante” documento UE viene puntato il dito su cantieri e scavi gestiti dai coloni nel cuore dei quartieri a maggioranza araba, ma anche su un progetto di teleferica con fermate nei terreni confiscati e sulla designazione di aree urbane edificate come parchi nazionali. “Gerusalemme Est è l’unico posto in cui parchi nazionali israeliani vengono istituiti in quartieri popolati”, viene affermato.
Chi conosce la realtà israeliana non può nascondere ai lettori la scientificità con la quale si effettuano gli scavi archeologici in Israele; non sono i “coloni” (parola di sicuro effetto, sempre utile, per gettare fango su tutto ciò che si fa in Israele), ma professori universitari, magari anche abitanti oltre la linea verde (ma che non devono essere qualificati come “coloni”) i realizzatori degli scavi archeologici. Il “Progetto teleferica” oggi, così come la metropolitana leggera tanto avversata ieri, servono a facilitare gli spostamenti di tutti, arabi ed ebrei. Viene da chiedersi perché alla Berardelli faccia piacere volere ghettizzare gli arabi verso i quali la sua simpatia è assai evidente.
Altra frase ad effetto, ma priva di significato, è quella in cui viene fatto riferimento ad “aree urbane edificate come parchi nazionali”. Israele è l’unica nazione al mondo che vede, anno dopo anno, crescere il numero delle proprie piante, essendo questo l’unico modo, in quelle aree, per bloccare la desertificazione, ma questa verità va accuratamente nascosta ai lettori ignari, si preferisce raccontare che queste aree sono sottratte ai palestinesi. Ma torniamo al dettato originario:
“Il documento – sintetizza il Guardian – presenta un quadro desolante, da cui emerge un grave peggioramento della situazione generale della città e delle prospettive per la pace. L’emarginazione dei palestinesi, che costituiscono circa il 37% della città, è continuata senza sosta – denunciano i diplomatici Ue – con oltre 130 demolizioni di edifici e lo spostamento di 228 persone”.
“Emarginazione” è altra parola di indubbia allure nella narrativa vittimistica. Evoca immediatamente altre parole ben radicate, come “apartheid” e “razzismo”. Che l’incremento possa avvantaggiare anche gli arabi non viene detto, non può essere detto. Come può infatti il “turismo armato” beneficiare chi lo “subisce”? Subito, senza un nesso logico si sposta il discorso sulle “oltre 130 demolizioni di edifici”. Alla UE non è andata giù l’ordinanza di demolizione di costruzioni da essa finanziate senza permesso di costruzione, cioè abusive. E così vale anche per le altre costruzioni di cittadini arabi che trovano spesso più semplice costruire senza rispettare leggi e regolamenti cittadini.
“Il documento certifica un processo già denunciato da diversi urbanisti, tra cui l’italiano Francesco Chiodelli che qui ci ha spiegato il ruolo delle politiche urbane israeliane nel ridisegnare il volto di Gerusalemme a discapito della parte palestinese della popolazione. Secondo i diplomatici Ue, un numero record di progetti di insediamento e l’isolamento fisico dei palestinesi sotto un rigoroso regime di regole e permessi hanno fatto sì che ‘la città cessasse in larga misura di essere il centro economico, urbano e commerciale palestinese che era’ un tempo”.
Rispunta il nome “dell’urbanista Francesco Chiodelli” che già ispirò un articolo pubblicato sul medesimo Huffington Post lo scorso 16 dicembre e da noi riletto criticamente il 4 gennaio. E’ solo da ricordare la tradizione araba di rispettare l’unione tribale nella scelta del quartiere dove vivere. Che cosa griderebbero i nemici di Israele se si cercasse di interrompere questa antica tradizione che, in sé, non arreca alcun disturbo?
“L’archeologia e lo sviluppo del turismo da parte delle istituzioni governative e delle organizzazioni di coloni privati hanno stabilito quello che è stato definito un ‘racconto basato sulla continuità storica della presenza ebraica nell’area a spese di altre religioni e culture’. Il documento cita come esempio lampante la Città di David, un parco archeologico finanziato dal governo nel quartiere palestinese di Silwan che offre visite nelle rovine dell’antica Gerusalemme. Il sito è gestito da un’organizzazione di coloni ‘che promuove una narrativa esclusivamente ebraica, mentre distacca il luogo dai suoi dintorni palestinesi’”.
Frode ispira frode. La continuità della presenza ebraica dall’epoca di Davide non ci fu mai a spese delle altre religioni per la evidente ragione che le altre nacquero successivamente; ma questa verità è in contrasto con l’unione ideologica euro-araba la quale con la pretesa di essere irenica ed ecumenica in realtà ha come scopo quello di relativizzare, quando non di negare apertamente, una primogenitura ebraica nella regione. Che siano coloni o meno, i gestori del sito archeologico potrebbero forse parlare di una “narrativa -non- esclusivamente ebraica”?
Ma procediamo con altri spunti:
“Circa 450 coloni vivono sotto pesante protezione a Silwan, secondo il rapporto, insieme a quasi 10.000 palestinesi. Gli sfratti prolungati delle famiglie palestinesi e l’aumento della presenza di forze di sicurezza israeliane hanno creato una tensione particolare, avverte il report”.
Sul fatto che la tensione tra arabi ed ebrei, nei territori menzionati duri invariata da almeno un secolo è opportuno tacere, come è altrettanto opportuno farlo sulla ragione dell’“aumento della presenza delle forze dell’ordine”, servito recentemente a calmare le acque.
“Più recentemente, un progetto di funivia approvato dal governo israeliano a maggio prevede di collegare Gerusalemme Ovest con la Città Vecchia, parte di Gerusalemme internazionalmente riconosciuta come occupata. La funivia dovrebbe essere operativa nel 2020, con l’obiettivo di trasportare oltre 3.000 persone all’ora. Il documento Ue avverte che il piano – definito ‘altamente controverso’ – contribuirà al consolidamento degli ‘insediamenti turistici’. Una seconda fase del progetto, non ancora approvata, punta a estendere la linea ancora più verso Est. Il progetto- scrivono i diplomatici europei – è stato descritto dai critici come ‘la trasformazione del sito patrimonio mondiale di Gerusalemme in un parco a tema commerciale, dove i residenti palestinesi locali sono assenti dalla narrazione presentata ai visitatori’. Ma non è tutto: i diplomatici avvertono anche che la funivia potrebbe portare a un deterioramento della situazione di sicurezza, dato che si troverebbe a circa 130 metri dal complesso del Monte del Tempio/ Haram al-Sharif, venerato come luogo sacro sia dai musulmani che dagli ebrei. Questa estate, uomini armati hanno ucciso due poliziotti israeliani all’ingresso del sito, e la successiva installazione da parte delle autorità israeliane di metal detector ha portato a una fase di intensi scontri”.
La conclusione dell’articolo riprende la questione, già più sopra analizzata, del progetto della funivia, ma diventa occasione per parlare di “Gerusalemme internazionalmente riconosciuta come occupata” dimenticando che, secondo tutte le considerazioni legali imparziali si può al massimo parlare di Gerusalemme “contesa”, non esistendo, nel 1967, quando Israele la “occupò” nella sua interezza, nessuno stato che la detenesse legalmente. Che si vogliano poi dare lezioni di gestione della sicurezza a chi sta dando in materia consigli al mondo intero è esercizio surreale; sono piuttosto gli arabi palestinesi che rifiutano tutte le metodologie necessarie a mantenere la sicurezza di tutti. Ducis in fundo, i citati “metal detector” che furono installati dagli israeliani e poi fatti togliere da coloro che erano corresponsabili dell’ “uccisione dei due poliziotti ebrei” che erano invece drusi, serve a dimostrare quanto alla Berardelli sfugga la realtà, come sfugge agli estensori del rapporto UE, ennesima fiction anti-israeliana.
Per leggere l’intero articolo dell’Huffington Post cliccare qui
Niram Ferretti
Emanuel Segre Amar