Giorni di tensione a Gerusalemme causa la violenza perpetrata da facinorosi palestinesi, alcuni con le bandiere di Hamas, che in concomitanza con l’inizio di Pesach (Pasqua ebraica) hanno lanciato pietre e ordigni esplosivi sui fedeli ebrei riuniti nel sottostante piazzale del Muto Occidentale (Kotel), obbligando la polizia a intervenire.
Tra questi palestinesi alcuni hanno pensato bene di continuare a lanciare pietre e ordigni, dall’interno della moschea di Al-Aqsa, dove sorgevano i due Templi ebraici di Gerusalemme.
L’intenzione non era quella di pregare per il Ramadan, ma colpire gli ebrei intenti a festeggiare Pesach, iniziato proprio venerdì.
Il capo della polizia israeliana, Kobi Shabtai, ha ricostruito l’accaduto:
“Abbiamo fatto tutto il possibile per evitare di entrare nel complesso sul Monte del Tempio Abbiamo cercato di lasciare la gestione della giornata al Waqf (musulmano). Ma quando gli agitatori hanno lanciato ordigni pirotecnici e pietre sui fedeli ebrei al Muro Occidentale, siamo intervenuti e li abbiamo arrestati”.
Un portavoce della polizia ha affermato:
“Mentre la polizia si adopera per garantire la libertà di culto per tutti e preservare la legge e la sicurezza nei luoghi santi e in tutta Gerusalemme, vi sono altri che scelgono la violenza. Continueremo ad adottare misure energiche contro coloro che attentato alla pace e alla sicurezza dei cittadini”.
Hamas e Jihad Islamica, tra gli altri, hanno attaccato Israele per la reazione, cercando di far credere che la moschea di Al-Aqsa fosse in pericolo, nel tentativo di compattare il mondo palestinese.
Come è facile immaginare, il pericolo era ed è inesistente. Perché come ha spiegato Shabtai non ci sarebbe stato alcun intervento delle forze dell’ordine se i palestinesi avesse pensato a pregare, anziché attaccare gli ebrei.
Cosa rimane di questo ennesimo attacco palestinese?
Rimane la simbologia, la stessa utilizzata nei giorni scorsi con la profanazione alla tomba di Josef (Giuseppe), in quanto figlio di Giacobbe, uno dei tre patriarchi e colui cui fu cambiato il nome in “Israele”: in sostanza la certificazione della presenza ebraica nella West Bank, rivendicata dai palestinesi.
Rimane che l’attacco palestinesi è scoccato nel primo giorno di Pesach, festività che sancisce la fine della schiavitù in Egitto degli ebrei e la nascita di quel popolo ebraico che arriverà in Israele.