Riassumo la situazione di Gaza per chi non l’avesse seguita o non fosse riuscito a capire quel che è successo dalle cronache del tutto insufficienti dei giornali. Venerdì pomeriggio Hamas ha organizzato il solito assalto di massa verso il confine di Israele. Erano pochi, meno di diecimila, ma quanto basta per mandare centinaia di bombe incendiarie volanti sul territorio israeliano, per coprire un terrorista armato di coltello che è stato arrestato dopo che aveva superato la barriera di sicurezza e soprattutto dei cecchini che hanno sparato sui soldati israeliani incaricati di difendere il confine, ferendone due. A questo punto le forze israeliane hanno reagito come è necessario in questi casi, sparando contro le posizioni di Hamas e uccidendo due terroristi. La reazione dei gruppi terroristi è stata molto intensa. In circa 24 ore hanno sparato quasi 500 razzi e proiettili di mortaio su città e villaggi israeliani vicini a Gaza. La maggior parte di questi missili sono caduti in campagna o sono stati fermati dal sistema antimissile Iron Dome, ma alcuni sono arrivati direttamente nelle case, uccidendo un uomo e facendo alcune decine di feriti. Un paio di morti li hanno provocati con razzi difettosi sulla popolazione di Gaza. Bisogna sottolineare che obiettivi dei razzi e perdite riguardano solo civili: non si è trattato di un confronto militare, ma di un atto terroristico. Israele ha reagito con un bombardamento mirato su impianti militari e su sedi di Hamas, sembra anche sulle case dei suoi massimi dirigenti. Mentre vi scrivo (domenica a mezzogiorno) il confronto va avanti nonostante il tentativo di mediazione egiziano. Per aggiornamenti continui, vi consiglio questo link.
Fin qui la cronaca. Per capire che succede, bisogna porsi alcune domane. La prima è: che cosa fa la comunità internazionale, l’Unione Europea, l’Onu, il Vaticano di fronte allo spettacolo di un gruppo terrorista che cerca di incendiare il territorio di uno stato vicino, spara alle guardie di frontiera, spedisce 430 razzi in un giorno contro la sua popolazione civile? La risposta è “nulla”, se va bene spende qualche parola di “condanna alla violenza”. “Da tutt’e due la parti”, naturalmente. L’eccezione è l’America, ma si sa che Trump è un “sovranista” cattivo e che non conta. Magari altri “sovranisti” si uniranno alla solidarietà americana, chessò, Bolsonaro, Orban Salvini; ma sono cattivi anche loro. Nessuna sorpresa, basta vedere le cronache dei giornali per capire come questo atteggiamento di tolleranza del terrorismo contro Israele sia condiviso dai benpensanti.
La seconda domanda, più seria, è perché i terroristi agiscono così. La risposta va divisa in punti. Il primo punto è che non si tratta affatto di gesti popolari o spontanei. Il fatto che gli attacchi da Gaza procedano a ondate, con l’uso massiccio di risorse militari, testimonia che sono sotto il controllo delle centrali terroriste, che sono atti politici, di cui bisogna capire il senso. Si possono ricostruire tre obiettivi principali. Il primo è cercare di conquistare nuove regole del gioco, in cui sia sancita che la violenza quotidiana di Hamas (attacchi al confine, spari sui soldati, palloni incendiari, oltre ovviamente ai coltelli e al resto della “resistenza popolare”) è legittimo e dev’essere subito, mentre la reazione israeliana non lo è e merita rappresaglie. E’ una stortura criminale che ho cercato di spiegare qui, ma è anche un loro obiettivo politico costante. Il secondo obiettivo è ottenere vantaggi concreti (l’ampliamento della zona di pesca, la consegna dei finanziamenti che vengono dal Qatar ecc.), approfittando con attenzione delle scadenze interne israeliane: un mese fa le elezioni, oggi il concorso dell’Eurovision, che è importante per il turismo e l’immagine internazionale di Israele. Il terzo è procedere verso l’obiettivo strategico della distruzione di Israele e del genocidio che vorrebbero realizzare, e più realisticamente mostrare a tutti i militanti palestinisti che questa è la strada che si persegue a Gaza, a differenza dei mollaccioni di Ramallah, indebolendo ulteriormente l’incapace e senile Mohamed Abbas.
Un quarto obiettivo, che probabilmente è il principale, viene dall’esterno, dal regime iraniano che controlla, finanzia e arma sia Hamas che la Jihad islamica, l’altro gruppo terrorista di Gaza che sta crescendo di forza e dimensioni. L’Iran grazie all’azione dell’aviazione israeliana sta perdendo la battaglia decisiva per la costruzione di un’infrastruttura militare in Siria da cui attaccare Israele. E’ interesse vitale dell’Iran dividere e logorare le forze armate di Israele, che non possono essere numerosissime, data la dimensione del paese. Altrettanto importante per gli ayatollah è rompere la coalizione che si è formata per contrastare la loro spinta imperialistica, in cui Israele la parte militarmente più importante, insieme a Egitto e Arabia. Per ottenere entrambi questi risultati il modo migliore sarebbe far impantanare l’esercito israeliano in un’operazione e poi magari in un’occupazione a Gaza, che impegnerebbe forze importanti distogliendole dal fronte settentrionale e produrrebbe molte perdite sia fra i militari sia inevitabilmente nella popolazione civile in Israele come a Gaza, esaltando i sentimenti antiebraici dei paesi arabi, anche quelli di fatto oggi alleati a Israele.
E’ un calcolo che fanno tutti, gli iraniani che ci sperano, Hamas che ci rimetterebbe ma deve starci visto che i suoi padroni vogliono così (e che comunque ne ricava uno spazio di immunità) e il governo e lo Stato Maggiore israeliano che devono pagare dei prezzi politici per non cadere in trappola (a questo proposito sono particolarmente ciniche le dichiarazioni di Gantz, che sa di cosa parla, e di Lapid, che probabilmente invece non capisce, cioè degli sconfitti delle ultime elezioni che attaccano il governo su scelte condivise da tutto l’apparato militare). In sostanza i responsabili di Israele, e prima di tutto Netanyahu, sanno di non dover cadere nella trappola iraniana di cui Hamas è l’esca. Un’operazione su Gaza porterebbe i morti dalle unità alle centinaia, esporrebbe a rischio la popolazione israeliane e probabilmente non sarebbe risolutiva se non seguita da una complicata, difficile e sanguinosa rioccupazione di Gaza.
Anche perché le perdite delle due ultime grosse ondate di terrorismo dei missili, questa e quella del Novembre scorso (tre morti finora e alcune decine di feriti) sono ben lungi dal presentare un pericolo esistenziale per Israele, anzi sono inferiori ai costi del terrorismo spicciolo, quello dei coltelli, delle macchine, delle bombe incendiarie e dei sassi, che Israele subisce da anni cercando di arrestare o eliminare i terroristi. Noi siamo più impressionati dai missili, ma non bisogna cedere all’emozione. Anche perché le minacce di bombardare Tel Aviv o l’aeroporto Ben Gurion sono rimaste per ora sulla carta, ma certamente in caso estremo sarebbero attuate, provocando probabilmente altre perdite.
Che può fare dunque Israele? probabilmente potrebbe ampliare i suoi obiettivi, di alzare il prezzo del terrorismo dei missili, mirando a colpire la catena gerarchica di Hamas, cosa che negli ultimi anni non si è fatta. Anche qui con molta oculatezza, perché al di là della retorica del tifo, l’escalation non è interesse di Israele. Vedremo il seguito di questa vicenda. Ricordando sempre che essa non va valutata sulla base passionale dello sdegno per i crimini terroristi o del bisogno di vendetta immediata, ma sulla logica strategica dei danni e delle convenienze.