Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato venerdì “l’apparente uso intenzionale di illegali letali e altre forze eccessive” da parte israeliana contro i manifestanti civili a Gaza e ha invitato “i perpetratori di tutte le violazioni nella striscia per affrontare la giustizia”. E’ l’ultima notizia su Gaza, quella di una risoluzione approvata in realtà un po’ a stento (23 a favore, 8 contro e 15 astenuti), grazie al voto compatto dei paesi musulmani, inclusi alleati di Israele e nemici di Hamas come l’Egitto, cui si sono aggiunti l’Angola, il Burkina Faso, il Cile, la Cina, Cuba, il Messico, la Nigeria, il Perù, le Filippine il Sudafrica e la Spagna (a ulteriore dimostrazione dell’antisemitismo dei governi di sinistra). La maggior parte dei governi europei, incluse l’Italia e la Gran Bretagna, ha preso la posizione piuttosto vile di astenersi. Hanno votato contro soprattutto i paesi dell’Europa orientale, Ucraina, Ungaria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Austria, con l’aggiunta del Brasile di Bolsonaro, dell’Australia e delle Fiji. Gli Usa non votavano, perché come Israele sono usciti dal consiglio. (La tabella dei votanti è pubblicata qui).
La risoluzione non sorprende certamente, se si pensa ai precedenti dell’Onu e delle sue agenzie. Ma se si guarda ai fatti più recenti, la sorpresa c’è, eccome. Per capirlo è utile riportare qualche brano di un articolo apparso sul New York Times, proprio perché questo giornale ha fatto una campagna demonizzante contro Israele sulla questione di Gaza:
“La gente di Gaza protesta di nuovo, soldati sparano di nuovo, e i civili sono di nuovo vittime. Solo che questa volta potreste aver perso la storia, perché queste proteste hanno ottenuto pochissmo spazioo nella maggior parte dei media occidentali. È strano: alcuni media sono pronti a dedicare mesi di sforzi giornalistici per ricostruire la traiettoria di un singolo proiettile che uccide accidentalmente un palestinese, purché il proiettile sia israeliano. La differenza questa volta è che i colpi sono stati sparati da Hamas, il gruppo militante islamista che ha governato Gaza dal 2007, quando usurpò il potere dai suoi rivali di Fatah in una guerra civile rapida e sporca. Da allora, non si sono svolte elezioni vere e non si è opposto alcun dissenso. L’attuale tornata di dimostrazioni, iniziata la scorsa settimana, arriva in reazione ad anni di cattiva gestione economica, e ai recenti aumenti di prezzi e tasse da parte di Hamas. Essi non derivano da mancanza di fondi da parte di Hamas: dal 2012, il gruppo ha assorbito più di un miliardo di dollari dal solo Qatar per pagare i costi di carburante, aiuti umanitari e stipendi dei dipendenti pubblici. Dove però vanno a finire davvero quei soldi è un’altra questione. Nel 2014, il Wall Street Journal ha riferito che Hamas aveva speso circa 90 milioni di dollari per costruire tunnel di attacco in Israele, con un costo medio di quasi 3 milioni di dollari per un tunnel. Il materiale dedicato a ciascun tunnel, secondo il Journal, era “sufficiente per costruire 86 case, sette moschee, sei scuole o 19 cliniche”. Tre guerre contro Israele, entrambe iniziate da Hamas, hanno anche causato il loro tributo a vite, feriti, infrastruttura e isolamento”
C’è poi la corruzione, l’arricchimento personale. Come scrive Giulio Meotti:
“Di Khaled Meshaal, capo di Hamas per vent’anni, si stima una ricchezza personale di 2,6 miliardi di dollari depositati in conti del Golfo Persico. Ci sono seicento milionari a Gaza. Uno è il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, che ha comprato una villa a Rimal, quartiere ricco di Gaza City. Anche il suo vice, Mousa Abu Marzouk, ha una fortuna personale”
E oggi, dopo essere stati mandati per un anno a migliaia all’assalto del confine con Israele per fare da scudi umani ai terroristi, al costo di un paio di centinaia di morti, sembrerebbe che gli abitanti di Gaza si siano stufati e abbiano iniziato a protestare con forza. Uno di loro si è dato fuoco (come quel tunisino che diede origine alle primavere arabe sei anni fa), si sono organizzate manifestazioni massicce, si sono usati i sociali media. Ma Hamas ha imparato la lezione dalla Siria e dall’Iran: il dissenso va represso. Ha fatto sparare i suoi miliziani contro le manifestazioni pacifiche, ha catturato tutti i dissidenti che riusciva a individuare, ha arrestato un centinaio di giornalisti che davano notizia del dissenso, ha fatto rapire e quasi ammazzare di botte il portavoce a Gaza dell’organizzazione rivale Fatah.
E’ probabile che le manifestazioni scompaiano per un po’ e la protesta resti sottotraccia, come accade in Iran. Ma resta il fatto chiarissimo che chi opprime la popolazione della striscia è innanzitutto Hamas e che la sua gente, nonostante l’indottrinamento instancabile non ne possa più e voglia cambiare regime. Peccato solo che di questo non si rendano conto gli ignoranti che gridano alle manifestazioni “Gaza libera”, senza capire che Gaza vorrebbe essere liberata sì, ma da Hamas, non da Israele che se n’è andato tredici anni fa. E soprattutto che lo ignorino i diplomatici e i governi che votano la solita rituale condanna di Israele quando difende dagli attacchi terroristrici da Hamas i propri confini e l’incolumità dei suoi cittadini.