Hamas ha condannato a morte due persone con l’accusa di “collaborazione” con Israele, di cui “una per fucilazione e l’altra per impiccagione”.
Ad altre quattro persone, invece, sempre per presunte complicità con lo Stato ebraico, è stato inflitto l’ergastolo, che nella Striscia di Gaza equivalgono a 25 anni di lavori forzati.
È accaduto lunedì scorso tra il silenzio delle cancellarie internazionali, troppo spesso impegnate a stigmatizzare l’operato di Israele, anziché intervenire su vicende come queste.
Hamas ha violato la stessa legge palestinese, secondo cui per condannare una persona a morte è richiesta l’approvazione del presidente dell’Autorità Palestinese.
Regola per l’appunto violata dal gruppo terroristico che governa la Striscia di Gaza anche nello scorso settembre, quando cinque palestinesi vennero giustiziati perché accusati di essere collaborazionisti con Israele.
A dire il vero, nella retorica di Hamas Israele è spesso descritto come il “nemico sionista”, e poi ci si chiede come mai non è possibile parlare di pace e stabilità con determinati personaggi.
Non sono state svelate le identità dei condannati a morte, né sono stati dati altri dettagli su tutta la vicenda, che definiamo “giudiziaria”, solo per mancanza di alternative.
Come non sono state rese pubbliche, le specifiche “responsabilità” e modalità con cui i soggetti avrebbero collaborato con Israele.
Fissiamo alcuni punti.
Hamas esegue la condanna a morte nel silenzio generale.
Hamas scavalca l’AP, eseguendo la condanna a morte senza la ratifica di Abu Mazen, violando la stessa legge palestinese, che dice di difendere contro i nemici. Dove per nemici, leggasi il 99% delle volte Israele e il popolo ebraico.
Nella retorica di Hamas il “nemico sionista” e l’“occupazione” sono termini utilizzati per spostare l’attenzione verso Israele.
Termini che peccato siano ormai entrati anche nel linguaggio di altri stati e governanti…