La truffa sulla morte della neonata di Gaza è opera del leader di Hamas. Chi fra quelli che si occupano di Medio Oriente o seguono i giornali con animo gentile, mettendosi sempre dalla parte delle vittime non ricorda di Layla Ghandour, la tenerissima bambina di otto mesi con gli occhioni grandi, le guance paffute e la bocca un po’ imbronciata, ritratta in tante fotografie col suo vestitino bianco, dopo che la crudeltà israeliana le aveva tolto la vita coi gas lacrimogeni al confine di Gaza il 14 maggio 2018? Il, suo ritratto da morta circolato sui media era stato paragonato da Gramellini a “un quadro di Caravaggio”. Al Jazeera ne fece “la faccia della strage di Gaza” , perfino “Il Giornale” ne parlò come della “neonata uccisa” . E il “New York Times, che pretende di essere il più autorevole giornale del mondo, sentenziò: “un simbolo è nato” .
Del resto si sa, come gli ebrei fino a pochi decenni fa rapivano e ammazzavano i bambini cristiani per impastarne il sangue col pane azzimo, così anche Israele ama uccidere i bambini… Nessuno si chiedeva che genitori fossero quelli che avevano portato una neonata in mezzo al fumo dei pneumatici bruciati, ai lacrimogeni alle bombe molotov e agli spari di una battaglia nei campi, che non sfiorava però nemmeno le case e la città. Che genitore normale farebbe una cosa del genere? Non importa, la colpa era degli israeliani cattivi e assassini di bambini.
Be’, non era vero niente. Dopo qualche giorno era venuto fuori che la bimba soffriva di “dotto arterioso” una malattia cardiaca congenita ed era dunque morta per cause mediche assolutamente indipendenti , non si era neanche vista sui luoghi degli scontri, era tutta una montatura, tant’è vero che Hamas fu costretto a rimuovere il suo nome dalla “lista dei martiri” .
Ma non è finita qui. Subito dopo la smentita dell’”uccisione israeliana” si disse che la bufala veniva da un tentativo di truffa della famiglia, in cui Hamas oltre che i giornalisti (non parliamo di Israele) avrebbero avuto il ruolo delle vittime. Adesso invece è venuto fuori che l’imbroglio è stato direttamente architettato da Hamas. Da un processo che si è svolto a carico del cugino di Layla è venuto fuori che è stato direttamente Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza ad offrire alla famiglia 8000 shekel, circa 2000 euro, per compiere la truffa. Nessuna meraviglia, dato che si tratta dello stesso leader terrorista che aveva pubblicamente dichiarato di voler “trasformare quello che ci è più caro – i corpi delle nostre donne e dei bambini – in una diga che blocca il collasso della realtà araba”. Detto in altri termini, di voler far morire donne e bambini per usarli come argomento propagandistico contro Israele.
Le donne e i bambini morti non ci sono stati, perché l’esercito israeliano ha preso di mira solo i terroristi che cercavano direttamente di superare con la forza la barriera di sicurezza per venire i Israele a uccidere e rapire: l’80% dei caduti di Gaza sono stati esattamente identificati ene è stata dimostrata l’appartenenza organica a bande terroriste. Ma in assenza di bambini morti, basta fabbricarli, ed è quello che è accaduto a Layla. E’ la solita macchina delle menzogne propagandistiche palestiniste, quella che è stata ribattezzata Pallywood, perché è una vera e propria industria di storie false ed edificanti, come i film di Hollywood.
Lo smascheramento conclude questa storia? No, basta andare in rete e digitare il nome della bambina morta per trovare solo la versione taroccata. E allora ci vorrebbero delle rettifiche, delle scuse. Da Gramellini e dal Giornale, dal New York Times e da tutti i media che sono caduti nella trappola propagandistica senza verifiche né cautele. E da coloro che hanno strillato alla risposta sproporzionata di Israele, dal segretario dell’Onu e dal presidente francese, fino a quel gruppetto di persone più o meno appartenenti al mondo ebraico che hanno firmato u appello contro Israele per Gaza. Tutti costoro si sono resi complici se non del terrorismo almeno della sua propaganda. Dovrebbero chiedere scusa, perlomeno. Ma non lo faranno. Perché la diffamazione di Israele in certi ambienti è comunque un merito, dato che aiuta la “lotta” palestinista. A noi non resta che rimettere la verità sui piedi e sperare che il pubblico chieda ragione personalmente a giornalisti che hanno tradito il loro mestiere per farsi propalatori di propaganda, a politici che nascondono l’antisemitismo sotto l’antisionismo, a personaggi che si cadano a fare gli “ebrei buoni” per i loro amici antisemiti.