Ieri più di 400 palestinesi di Gaza sono scesi in piazza per manifestare contro i propri leader. I cittadini reclamano la ricostruzione delle strutture distrutte durante l’ultima guerra tra Hamas e Israele, e protestano contro la divisione interna che vi è tra Fatah, il partito di Mahmoud Abbas nella West Bank e Hamas, l’organizzazione che governa la Striscia.
Durante la dimostrazione, poliziotti palestinesi in incognito si sono infiltrati in mezzo alla folla ed hanno cercato di reprimere i manifestanti con percosse e botte. Alla fine circa sette persone sono state arrestate.
La manifestazione è risultata molto scomoda per gli esponenti di Hamas, perché dimostra la consapevolezza dei gazawi che la responsabilità delle ricostruzioni sia nelle mani dei governanti, per tre ragioni principali. Da un lato, per l’aspetto economico, Hamas utilizza fior di milioni per mantenere i potenti come Khaled Meshaal e Ismail Hanyieh, per scavare tunnel del terrore e acquistare armi e razzi da scagliare contro Israele; d’altro canto, i cittadini palestinesi sanno che essendo Hamas una organizzazione terroristica che minaccia Israele e che con questo ha rotto ogni ponte, lo Stato ebraico non è disposto a far passare alcuni tipi di materiali da costruzione per il timore che siano utilizzati per la fabbricazione di esplosivi; ultimo ma non ultimo, Hamas e la sua politica del terrore è riuscito a isolare Gaza anche dal vicino Egitto, il quale ha chiuso il valico di Rafah da mesi perché non è più disposto ad accettare infiltrazioni terroristiche sul proprio territorio.
Hamas è riuscito a far arrivare la Striscia ad un punto talmente basso, che gli unici aiuti e rifornimenti passano dal valico di Kerem Shalom, quindi da Israele. Ma Israele è lo Stato che Hamas stesso vuole distruggere, è il paese i cui cittadini sono vittime del terrorismo palestinese.
Che il popolo palestinese non riesca in qualche modo a mandare a casa il terrorismo di Hamas e a portare una ventata di moderazione? Democrazia sarebbe chiedere troppo, visti anche tutti i vicini paesi arabi, ma almeno l’abbandono della violenza, sarebbe già un passo avanti.