Una raccolta di tanti piccoli regali non può che ispirare un’infinita tenerezza. Soprattutto se a comporla è una ragazza povera, talmente povera che non ha neanche i mezzi per acquistare un fiore, ma in compenso ha una travolgente voglia di vivere, di studiare e conoscere il mondo e soprattutto è tanto generosa da voler dare in ogni caso qualcosa di sé agli altri. Questo è ciò che si prova leggendo “Florilegio”, pubblicato da Edizioni Forme Libere a cura di Francesca Paolino. Giovane romana studiosa di germanistica, ha il grande merito di aver profuso un enorme impegno nel far conoscere in Italia Selma Meerbaum-Eisinger, l’autrice di Blutenlese (il cui significato è appunto Florilegio), una ricca antologia di poesie scritte su fogli sparsi, tenuti insieme da un cordoncino nero a forma di fiocco e da una copertina rigida foderata con una carta da regalo piena di fiori colorati su sfondo azzurro.
Selma era nata nel 1924 a Czernowitz in Bucovina (regione che fu prima sotto dominazione austroungarica, poi sovietica, successivamente venne occupata dai nazisti e che attualmente è divisa tra la Romania e l’Ucraina) e morì di stenti e malattia nel 1942 in un campo nazista in Transnistria. Di rara sensibilità, nella sua brevissima vita fu un’artista molto prolifica: compose principalmente in tedesco e tradusse dal francese, dal rumeno e dall’yiddish i suoi poeti preferiti.
L’album, che confezionò con amorevole cura, come se fosse stato un bouquet, e che era destinato ad un ragazzo di cui era innamorata, attraversò vicende rocambolesche, passando da un’amica ad un’altra, fino a giungere in Israele, dove rimase in un cassetto per molti anni. Fu merito di un professore della ragazza e di una pubblicazione nella Repubblica Democratica Tedesca dedicata ai poeti ebrei perseguitati che il manoscritto viene reso noto al pubblico. Attualmente è conservato nell’archivio dello Yad Vashem a Gerusalemme e una delle frasi scritte da Selma è incisa in un mausoleo in Germania in memoria delle vittime della Shoah.
In “Florilegio” la Paolino non soltanto riporta l’intero contenuto di Blutenlese in lingua originale, ma per ogni poesia offre la sua traduzione, corredando il tutto con una lunga e interessantissima introduzione nella quale ripercorre l’intera storia del manoscritto. Un’introduzione ampiamente commentata che suscita alcune riflessioni, associazioni di idee e curiosità, nella quale anche chi non è interessato alla poesia vi può trovare spunti stimolanti. Sarebbe quindi auspicabile che il volume, insieme al precedente “Una vita” pubblicato da Edizioni del Faro, in cui Francesca Paolino descrive dettagliatamente la biografia di Selma, venisse diffuso in tutta Italia, non soltanto per far conoscere meglio la storia e le opere di una giovane già notevolmente talentuosa e promettente che sarebbe potuta diventare una grande artista internazionale se non fosse stata inghiottita dagli orrori nazisti, ma anche per ricordare che lo sterminio di un terzo della popolazione ebraica europea, non è soltanto una pagina buia e terribile della nostra Storia.
In un’epoca come la nostra, in cui da una parte la Shoà viene ricordata istituzionalmente tutti gli anni e se ne parla spesso in varie occasioni, ma dall’altra paradossalmente il negazionismo imperversa in molteplici e variegate forme, dalle più esplicite dell’estrema destra e del fondamentalismo islamico a quello più subdolo di alcune formazioni politiche e pseudo culturali che si nascondono sovente nell’antisionismo e nell’anti-israelianesimo, parlare di Selma e far conoscere le sue poesie è una forma di lotta contro l’oblìo, una battaglia contro chi vorrebbe ancora oggi cancellare il popolo ebraico nelle sue più svariate forme e aiuta a far comprendere almeno una minima parte di quanto il mondo tutto ha perso e di quanto si può perdere quando si permette l’assassinio di vite innocenti. Poiché, come insegna il Talmud, chi uccide un essere umano uccide un mondo intero.