È il 1973. È l’anno in cui il presidente degli Stati Uniti Nixon è travolto dallo scandalo Watergate. Quello nel quale Juan Domingo Perón viene eletto presidente in Argentina e nel vicino Cile il generale Augusto Pinochet sale al potere dopo un colpo di stato.
Le tensioni in Medio Oriente culminano nella Guerra del Kippur, che termina con l’esercito israeliano che respinge gli attacchi di Egitto e Siria: Il Cairo libera la penisola del Sinai e Damasco subisce una pesante sconfitta.
In Italia il golpe cileno colpisce la politica italiana. Tanto che pochi giorni dopo l’accaduto, in un saggio su Rinascita intitolato Riflessioni sull’Italia, il segretario del PCI Enrico Berlinguer lancia la proposta del compromesso storico con la DC.
Solo qualche mese prima il ministro dell’Interno Mariano Rumor scampa a un attentato (in cui moriranno quattro persone) durante una cerimonia davanti alla Questura di Milano in memoria del commissario Luigi Calabresi ucciso un anno prima.
È un anno intenso il 1973, sia per l’Italia che per altri paesi. È un anno che prima di volgere al termine, lascia un ultimo grande “strascico”. Quello che dovrebbe rimanere vivo nella memoria collettiva di un paese e di un popolo e, invece, col tempo verrà chiamata la “strage dimenticata”.
Forse perché a differenza di altre stragi, non è stata costituita un’associazione di familiari delle vittime. O forse perché il numero degli italiani morti è una piccola parte rispetto al numero complessivo (32).
Sta di fatto, che il processo di rimozione per la strage di Fiumicino per mano del terrorismo arabo-palestinese vale ancora oggi. Una stranezza, visto che nel 1973 questo attacco è quello che ha causato più morti nell’Italia repubblicana: un primato che lascerà sette anni più tardi alla strage di Bologna.
Stranezza che potrebbe essere spiegata così: la strage di Fiumicino è simbolo degli accordi segreti, delle reti di potere e della politica italiana della “moglie americana e l’amante araba”.
Il 1973 è un anno cruciale per gli storici, che studiano quello che in Italia è stato rinominato come Lodo Moro.
Lodo Moro che ancora non è dato sapere se in quel 1973 sia cosa fatta oppure no. Nel corso degli anni, però, si saprà che il 1973 è un anno importante per un accordo che non è prerogativa italiana, tanto che in quegli anni il generale e politico d’Israele, Moshé Dayan, dirà: “Su centodieci terroristi (palestinesi) finora catturati in tutto il mondo, 70 sono stati rilasciati entro breve tempo. Non sappiamo a quanto ammonta il riscatto che è stato pagato ne quali accordi alla luce del sole o sottobanco i vari stati abbiano preso con loro”.*
E infatti anche i terroristi arabo-palestinesi responsabili della strage di Fiumicino rimarranno impuniti. Affidati dopo una lunga trattativa al leader egiziano dei palestinesi Yasser Arafat.
Sono da poco passate le 12:30 del 17 dicembre 1973 e cinque terroristi palestinesi (ma forse erano di più, il numero non è mai stato accertato con sicurezza) scendono all’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino da un aereo appena arrivato da Madrid. Sono anni in cui i controlli di sicurezza negli aeroporti sono praticamente inesistenti, tanto che i terroristi palestinesi non devono sforzarsi più di tanto per nascondere mitra e bombe a mano nei bagagli.
Arrivati al controllo passaporti, i terroristi arabo-palestinesi imbracciano le armi e prendono in ostaggio sei agenti di polizia. Il commando si divide: quelli con gli ostaggi si dirigono verso il gate 14, mentre gli altri cominciano a sparare contro delle vetrate per poter uscire direttamente sulla pista.
Pista dove il volo Pan Am 110 si sta preparando al decollo con un ritardo di quasi mezz’ora. Sono le 13.10 e di lì a poco 30 persone stanno per morire perché i terroristi palestinesi lanceranno una bomba al fosforo all’interno dell’aereo.
L’altro gruppo di terroristi raggiunge un Boeing 737 della Lufthansa. Sotto l’aereo c’è l’agente della Guardia di Finanza, Antonio Zara, 20 anni, immobilizzato dai terroristi che gli dicono di allontanarsi. Lui esegue l’“ordine”, ma questo non gli salva la vita, perché i terroristi gli spararono alla schiena.
Un gesto vile, che testimonia la malvagità dei terroristi palestinesi che, con la scusa di rivendicare chissà quale diritto, continuano a uccidere senza pietà.
Poi prendono altri due ostaggi dal personale di terra dell’aeroporto, si ricongiungono al primo gruppo e salgano a bordo dell’aereo Lufthansa e obbligarono l’equipaggio a decollare per Atene.
Sono le 13.32 e da quaranta minuti il terrore regna sovrano sullo scalo internazionale di Roma. Dopo una fuga durata ore e con vari paesi che non vogliono rifornire di carburante l’aereo, i terroristi arrivano in Kuwait. Dopo una lunga trattativa i terroristi vengono consegnati nelle mani dell’OLP.
Gli viene permesso di tenere le loro armi e di scendere dall’aereo come se fossero eroi nazionali per poi essere inghiotti dalla storia e non lasciare più traccia.
C’è un altro particolare. Mentre scendono dall’aereo, i terroristi arabo-palestinesi fanno con le dita il segno di “V per vittoria”. Perché per il arabo-terrorismo palestinese vincere significa uccidere persone innocenti.
Il movente di quest’azione terroristica araba-palestinese è ignoto. Alcuni studiosi ritengono che l’attentato sul territorio italiano possa essere messo in relazione con altro evento di quel giorno: era stata fissata l’udienza del processo penale contro i terroristi, allora detenuti in Italia, del precedente fallito attentato di Ostia.
* “Salvate Aldo Moro” di Francesco Grignetti (pag. 21-22)