Per chiunque segua le vicende politiche e culturali italiane con un minimo di lucidità e onestà intellettuale, è chiaro che quel che è accaduto al salone del libro di Torino non è stato affatto una vittoriosa mobilitazione democratica contro un tentativo di invasione fascista della cultura, ma un tentativo di delegittimazione politica di un avversario pericoloso da parte del Pd e dei grillini, seguiti come al solito dal coro benpensante di intellettuali, giornalisti e altri “sinceri democratici” indignati. La dimostrazione è che mentre si cacciava a furor di popolo l’editore di un libro-intervista a Salvini, in diversi stand del salone si esponevano e si vendevano tranquillamente “Mein Kampf”, “I protocolli dei Savi anziani di Sion” e altra disgustosa paccottiglia fascista. Questa mercanzia al salone c’è sempre stata e in trent’anni nessuno si è mai preoccupato di eliminarla o contestarla. Come del resto al Salone sono transitati senza problemi terroristi non pentiti delle brigate rosse, a partire dal capo supremo Renato Curcio, e si sono venduti e si continuano a vendere non solo i loro libri, ma anche quelli di Cesare Battisti. Che ci sia molto di pretestuoso in questa storia è dimostrato anche dal fatto che il pretesto della contestazione è un libro che non c’entra nulla col fascismo e che fra l’altro non è un libro DI Salvini, ma di un’intervista firmata una giornalista piuttosto nota, Chiara Giannini, ora al Giornale, ma prima firma del Tirreno e di altri giornali di sinistra. Il che fra l’altro fa giustizia dell’idea di un coinvolgimento personale di Salvini con quell’editpre.
Intendiamoci, il fascismo e il nazismo vanno naturalmente combattuti sul piano delle idee oltre che su quello legale e l’editore di questo libro è chiaramente, per sua stessa dichiarazione, un nostalgico del fascismo. Ma ciò implica che non abbia diritto a pubblicare i suoi libri e a venderli? Esistono leggi contro la ricostituzione del partito fascista (ma una piccola casa editrice non è certo un partito) e contro l’apologia del fascismo (ma nessuno ha sostenuto che nel libro di Salvini ci fosse una cosa del genere). E’ democrazia quella che consente a delle istituzioni politiche (il comune di Torino e la Regione Piemonte, retti da 5 stelle e Pd, per una volta uniti nella lotta) di togliere a qualcuno la libertà di espressione, che è garantita dalla Costituzione, senza una sentenza della magistratura, con fini evidentemente elettorali?
Al di là di questo aspetto, vi è un altro pericolo. E’ una vecchia abitudine della sinistra dividere il mondo in “democratici” (se stessa e i suoi alleati) e “fascisti” (tutti gli altri). Questo meccanismo si è applicato a lungo alla Dc, agli Stati Uniti, ai docenti che resistevano al Sessantotto, alla polizia (nei cortei si è gridato per decenni lo slogan ignobile “PS, SS”), ma anche a Israele (è la diffamazione ridicola, se non fosse tragica, per cui “lo stato ebraico è come il nazismo, Gaza è come Auschwitz ecc. ecc.) e oggi si applica a Salvini, a Trump, a Bolsonero, a Orban ai “sovranisti” (espressione di per sé concepita per essere ingiuriosa) a Netanyahu (ma prima anche a Sharon, a Peres, a Dayan…).
Per coloro che fanno propaganda e che vogliono semplicemente delegittimare i loro nemici a qualunque costo, questi accostamenti insensati sono comode armi propagandistiche. Ma per chi è stato davvero vittima dei nazisti e ha la responsabilità della memoria della Shoà, il discorso è diverso. Perché se Salvini è come Hitler, anche Hitler dev’essere come Salvini, cioè un personaggio politico cui nessuno ha mai potuto attribuire un singolo episodio di violenza, che in tutta la sua vita politica si è attenuto alle leggi e alle regole della democrazia. E se l’Italia attuale ricorda il nazismo, allora il nazismo dovrebbe somigliare all’Italia attuale, un posto dove le opinioni sono libere, nessuno è ucciso o incarcerato per le sue idee, l’alternanza di governo è garantita, le discriminazioni razziali sono proibite ecc. Tutto ciò è chiaramente falso, ma pericoloso, perché proietta un’immagine accomodante e normale della dittatura atroce e genocida. Insomma chi usa nazismo e fascismo come arma politica contro avversari politici che chiaramente non ricadono sotto queste categorie, è responsabile della banalizzazione di quei regimi sanguinari e dei loro crimini, prima di tutto la Shoah.
Altra discorso naturalmente vale per quelli che si definiscono da sé fascisti, come Casa Pound e Forza Nuova, contro cui è giusto lottare secondo la modalità consentite dalla legge; ma allora bisognerebbe prendere atto che la loro presa elettorale è pressoché nulla e che dunque su questo piano non costituiscono un pericolo e sarebbe opportuno badare a non fare loro pubblicità gratuita. Come è clamorosamente accaduto invece con la casa editrice esclusa.