Da una parte la candidata democratica Hillary Clinton, che promette ad Israele che sotto il suo mandato gli Stati Uniti non accetteranno mai una soluzione al conflitto israelo-palestinese che non coinvolga direttamente le due parti, né potrà mai appoggiare qualsivoglia azione unilaterale da parte delle Nazioni Unite. Affermazioni molto importanti per Netanyahu, che proprio al Palazzo di Vetro ha ribadito più volte che nessuno potrà imporre da fuori soluzioni che non siano condivise dal governo israeliano e dall’Autorità Palestinese. Per non parlare del BDS, movimento di delegittimazione contro Israele che la stessa Clinton ha detto di voler fermare con tutte le forze. Mica male, per un movimento che discrimina israeliani di qualsiasi posizione politica ed estrazione in giro per il mondo.
Ma dall’altra parte, Donald Trump ha voluto parlare dritto al cuore degli israeliani, toccando le corde più profonde del popolo ebraico: «Gerusalemme è stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni. Sotto la mia amministrazione riconoscerei Gerusalemme come capitale indivisibile dello Stato d’Israele». Un tema di fondamentale importanza, un ambito in cui Israele è stato lasciato solo per lungo tempo, tanto che all’estero chi abita a Gerusalemme è considerato cittadino dello stato “XXX” e non d’Israele. Tanto che gli arabi si sentono ancora liberi di piazzare bombe e farsi saltare in aria perché si tratterebbe della terza città più importante dell’Islam. E poi cooperazione in campo economico, militare, tecnologico: apprezzamenti che in questo caso Israele è già abituato a ricevere.
La sfida è ancora tutta aperta, dunque, probabilmente con questo 50 e 50 che continua a pesare sulle teste dei due candidati alla Casa Bianca, perché anche nel caso dell’elettorato ebraico, molto legato ad Israele, le promesse sono state valide in entrambi i casi. Ma si sa, a parole son bravi tutti.