La campagna militare dell’esercito egiziano contro gli estremisti islamici del Nord del Sinai sta danneggiando migliaia di civili e rischia di far rivoltare la popolazione contro il governo stesso, lo afferma Human Rights Watch in uno dei suoi rapporti.
Secondo il gruppo con sede a Ginevra, nel corso di circa due anni un totale di tremiladuecento famiglie sono state sfrattate dalle loro case, demolite insieme a centinaia di acri di terra coltivata nel tentativo di distruggere i tunnel del contrabbando che connettono la Striscia di Gaza al Nord della Penisola egiziana del Sinai.
“La distruzione di case, interi quartieri e mezzi di sussistenza è un esempio da manuale di come perdere una campagna di contro-insurrezione” è stato il commento di Sarah Leah Whitson, Direttrice dell’organizzazione per il Medio Oriente e Nord Africa.
Nella dichiarazione rilasciata da Human Rights Watch viene affermato che “le autorità egiziane forniscono pochissimo preavviso per gli sfratti, non concedono altre abitazioni temporanee e i risarcimenti per le proprietà distrutte sono perlopiù inadeguati. Per quanto riguarda i terreni coltivati questa compensazione è nulla.”
L’obiettivo del governo egiziano è quello di creare una zona cuscinetto intorno al confine con la Striscia di Gaza per distruggere la rete di tunnel transfrontalieri. Il governo accusa i militanti islamici di usare i tunnel del contrabbando per muoversi fra la Penisola del Sinai e Gaza dove trovano il sostegno del governo di Hamas. Secondo il report però le autorità del Cairo avrebbero violato lo stato di diritto demolendo case nel raggio di settantanove chilometri quadrati intorno a Gaza senza fornire una giustificazione per la misura intrapresa.
Secondo Human Rights Watch gli Stati Uniti hanno addestrato i militari egiziani a usare un sofisticato sistema di rilevamento dei tunnel per trovarli e distruggerli senza spazzare via l’intera zona e per questo hanno chiesto il motivo per cui tali risorse non sono state impiegate. Inoltre l’organizzazione afferma di aver ricevuto dei filmati che mostrano dei carri armati di produzione americana distruggere degli edifici ed ha richiesto agli Stati Uniti di verificare che le sue armi non vengano utilizzate per violare i diritti umani. Il gruppo richiede che la lotta contro gli insorti nel Sinai venga condotta in maniera che i civili non vengano colpiti arbitrariamente e che non sia violato il loro diritto all’abitazione o che rimangano indifesi in seguito agli sfratti.
Il Nord del Sinai è una zona quasi del tutto chiusa per i media ed è difficile verificare indipendentemente i rapporti che provengono da quell’area. Il territorio è caratterizzato da città aride, zone desertiche e zone montuose, il terreno ideale per operazioni di guerriglia. La maggior parte delle scontente tribù beduine locali, affette da gravi difficoltà economiche, si sono unite al contrabbando, alla criminalità organizzata e, in alcuni casi, all’Islam radicale.
Il governo egiziano è ormai da tempo alle prese con le rivolte di estremisti islamici nella regione, rivolte che si sono intensificate dopo il golpe che ha estromesso dal potere l’islamista Mohammed Morsi, eletto Presidente nel Luglio 2013, dopo l’ondata di proteste e un giro di vite sui gruppi islamici radicali. Gli attacchi terroristici nel Sinai sono quasi tutti stati rivendicati dagli affiliati dello Stato Islamico nella Penisola. Le violenze sono rimaste confinate soprattutto in questa zona ma alcuni attentati terroristici sono stati condotti anche in altre parti del paese tra cui anche la capitale. Il portavoce militare dell’esercito egiziano, Mohammed Samir, non ha voluto commentare il rapporto di Human Rights Watch così come non lo hanno fatto il portavoce del governo, Hossam Qawish, quello del Ministero degli Esteri, Ahmed Abu Zeid, e quello del Presidente al-Sisi, Alaa Youssef.