Progetto Dreyfus ha avviato una collaborazione con NGO Monitor, un’importante organizzazione internazionale volta a produrre e divulgare report e analisi critiche sulle attività delle Organizzazioni Non Governative. NGO Monitor pone particolare attenzione alla distorsione dei Diritti Umani, focalizzando il lavoro principalmente sul conflitto israelo-palestinese. Vi proponiamo di seguito un primo articolo sull’attività delle ONG legate al movimento BDS.
*Traduzione dall’ebraico di Silvia Bublil Dadusc
La campagna di boicottaggio BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni politiche contro lo Stato d’Israele, si basa sullo sfruttamento di associazioni umanitarie e princìpi dei diritti umani, ed è volto ad isolare Israele in tutti i campi. Una campagna non è un’associazione o un movimento formale, ma una rete senza gerarchie. È formata da attivisti estremisti che coordinano le loro attività attraverso decine di Organizzazioni Non Governative (ONG) su vari livelli. Le diverse campagne vengono finanziate per milioni di dollari e di euro che le organizzazioni ricevono da governi stranieri, ma anche da enti religiosi e contribuenti privati. Perciò, per bloccare gli attivisti che usano i diritti umani per attaccare Israele e allontanare la pace, serve un pensiero strategico a lungo termine che includa il blocco dei finanziamenti – che in gran parte provengono dalle tasse pagate dai cittadini europei – versati a loro da governi amici di Israele.
Dietro l’appello di “legittima critica” allo Stato di Israele si celano le caratteristiche tipiche dell’antisemitismo. Gli attivisti non menzionano le parole pace, convivenza, due popoli – due stati che convivono in sicurezza l’uno accanto all’altro. Anzi, negano il diritto di base della nazione ebraica di proclamarsi tale, e la loro attività si riduce a tappare bocche e discriminare israeliani ed ebrei. La promessa di interrompere la campagna se si raggiungerà un accordo di pace con due stati per due popoli è vana, non coincide con gli obiettivi dell’organizzazione né con le dichiarazioni dei suoi attivisti. Inoltre, a parte l’antisemitismo moderno, si notano anche diverse caratteristiche dell’antisemitismo classico. Molte associazioni cristiane finanziano e danno man forte a questa campagna, utilizzando metafore e immagini religiose di stampo antisemita.
Gli attivisti esercitano potere nel settore economico, culturale, politico, accademico, militare, sportivo e religioso, e fanno di tutto per colpire Israele. La cosa nasce a volte da ignoranza totale riguardo il conflitto, da odio bieco nei confronti del popolo ebraico o per convinzione che questo tipo di pressioni porti a risultati politici. Il centro di ricerca NGO Monitor, ha distinto quattro settori di attività su cui si concentra la campagna.
Il primo settore è quello economico-commerciale, in cui le ONG attaccano aziende e cooperative in Israele e nel mondo attraverso la distorsione di princìpi legali, sostenendo che le collaborazioni commerciali con Israele contribuiscano ad aumentare azioni contro i diritti umani. In molti casi, queste organizzazioni (tipo il War on Want, che riceve finanziamenti governativi dall’Inghilterra e dall’Irlanda di centinaia di migliaia di euro) minacciano aziende e imprese affinché ritirino i loro investimenti in Israele.
Il secondo settore in cui operano gli attivisti del BDS è quello religioso, dichiarando apertamente che le istituzioni religiose vengono concepite da molti credenti come “rappresentanti importanti di valori e di etica” e che “le campagne di disinvestimento che puntano sulle aziende sono state già inaugurate in molte chiese. Queste non solo indeboliranno l’occupazione, ma aumenteranno il prestigio pubblico del tema e la sua legittimità”.
Questo argomento è diventato centrale nell’agenda di molte correnti ecclesiastiche negli Stati Uniti, Europa, Canada ed in altri luoghi in cui parte di queste chiese ricevono finanziamenti governativi. In alcuni casi, i governi donano soldi ad organizzazioni umanitarie della chiesa, che li donano a loro volta ad associazioni politiche locali, compresi gruppi che sostengono pubblicamente “un solo stato” (e la cancellazione dello Stato ebraico) e che diffondono teologie antisemite nelle chiese di tutto il mondo.
I campus e le accademie sono il terzo campo di azione della campagna. Una rete di organizzazioni promuove campagne anti israeliane nei campus in Europa e negli Stati Uniti e fornisce finanziamenti, preparazione e assistenza legale agli studenti attivisti. Con più di 150 sedi negli USA, Studenti per la Giustizia in Palestina (SJP) è l’organizzazione più attiva nella promozione del BDS nei campus, che promuove numerosi eventi compresa la “Settimana dell’Apartheid Israeliano”. Con lo status di organizzazione universitaria hanno diritto ai finanziamenti e i soldi vengono impiegati per invitare i relatori più estremisti del BDS.
Il quarto campo di azione è il quello politico. Le organizzazioni promuovono la loro agenda nei parlamenti e tra i politici più importanti in Europa e in Israele. Per esempio, organizzazioni finanziate direttamente o indirettamente dalla UE e dai governi europei hanno attivato una lobby per l’etichettatura dei prodotti israeliani come parte della campagna BDS. Per loro la segnalazione di prodotti provenienti dalla West Bank, Gerusalemme Est e Ramat ha Golan è il primo passo per il boicottaggio generale di chiunque agisca in questi territori, a prescindere dalla definizione di legalità secondo la legge internazionale. Il passo successivo è il boicottaggio generale di Israele su tutto il territorio. Peggio hanno fatto 22 organizzazioni (alcune della chiesa e altre fra le più grandi d’Europa) che non contenti della decisione UE di etichettare la merce, l’hanno definita “ipocrita” e hanno chiesto il boicottaggio dei prodotti.
Nonostante la campagna non abbia condizionato l’economia israeliana, ha molta influenza sul subconscio e alimenta l’odio già esistente nei confronti degli israeliani e degli ebrei nel mondo. Per questo è importante mettere l’accento su alcuni punti della lotta contro questo fenomeno, usando una visione complessa e saggia, e non essere semplicisti. È necessario dare il giusto peso alla campagna BDS. I successi della campagna sono pochi e limitati: non è una minaccia esistenziale e a livello strategico il danno è piccolo. I suoi attivisti, si nutrono dell’attenzione che si dedica loro e si appropriano di decisioni economiche che non li riguardano. Non bisogna dare troppa importanza al fenomeno, ma non bisogna neanche sminuirlo, né tantomeno ignorarlo. Un altro obiettivo, quello più significativo, consiste nel colpire le risorse che permettono al BDS di acquisire potere.
Una parte delle organizzazioni principali alla guida della campagna (israeliane, palestinesi e internazionali) ricevono grande sostegno da governi stranieri, specialmente dall’Unione Europea e dagli stati del Vecchio Continente, e da fonti private, con somme che raggiungono centinaia di milioni di dollari e euro l’anno. Perciò, Israele deve avere un dialogo con i governi europei e creare delle linee guida concordate e meccanismi di valutazione autonomi riguardo l’uso adeguato dei soldi dei cittadini europei.
È impensabile che paesi come la Germania o l’Inghilterra, alleate di Israele e partner nei tentativi di concludere il conflitto in vie pacifiche, continuino a finanziare ONG che promuovono un agenda completamente opposta.
Forse il punto che richiede un cambiamento radicale da chi lotta contro il BDS è il passaggio da reattività e passività a iniziativa e attività. Gli attivisti del boicottaggio sanno che non hanno niente da perdere e possono colpire dove e quando vogliono. Bisogna rovesciare la parabola. Servono iniziative creative per attaccare quelli che non vogliono vedere l’esistenza di Israele (e a volte neanche gli ebrei).
Questo approccio, chiarirà agli attivisti del BDS e agli “indecisi” che la collaborazione con la più grande campagna d’odio dei nostri tempi ha un prezzo molto caro.