Se un libro può colpire, leggerne due di seguito può suscitare numerose ulteriori riflessioni. Mi riferisco a due storie in particolare: “Il passato che è in me” di Simcha (Kazik) Rotem e “Il cabalista di Lisbona” di Richard Zimmler. Il primo sono le memorie di uno dei capi della rivolta del ghetto di Varsavia, il secondo è un racconto inventato, ma basato su uno sfondo storico, il massacro di quasi duemila persone che i “vecchi cristiani” perpetrarono durante la Pasqua e il Pesach del 1506 nei confronti dei “marranos”, gli ebrei convertiti a forza qualche anno prima, all’inizio dell’Inquisizione in Portogallo. Cos’hanno in comune due storie così lontane nel tempo, nello spazio e nell’aderenza alla realtà? Non è difficile immaginarlo: le persecuzioni, i massacri, l’antisemitismo. Allora perché fa un certo effetto? Perché in teoria tutti noi sappiamo quante tragedie i nostri avi sono stati costretti a subire e su quale retaggio ha attinto l’odio razzista dei nazifascisti, ma in pratica, almeno per quanto posso osservare intorno a me, nessuno di noi si rende conto fino in fondo quanto simili sono state le persecuzioni nei ghetti e nei pogrom a quelle perpetrate dai nazisti (campi di sterminio e camere a gas a parte).
Se è vero che il progetto della “soluzione finale” è stato inventato da Hitler, è anche vero che tutto il resto che è stato perpetrato in quegli anni – la propaganda denigratoria, le umiliazioni, le torture, le totali distruzioni e i massacri improvvisi, i linciaggi da parte di popolazioni aizzate appositamente – era già stato messo in pratica nei secoli precedenti. Ecco allora che si può tracciare chiaramente il filo conduttore che lega due libri così diversi: sia Simcha (Kazik) nella Varsavia cristiana occupata dai nazisti dove il ghetto è ormai raso al suolo, sia Berechià (il protagonista del romanzo di Zimmler) nella Lisbona cristiana del 1506, sono braccati, vivono in un mondo nel quale sono nati e cresciuti ma che è diventato improvvisamente estraneo ed ostile; non si possono fidare di nessuno, nemmeno degli amici o dei vicini, chiunque potrebbe essere un delatore e anche un solo momento di debolezza, un istante di insicurezza o di mancanza di prontezza può costare loro la vita. Entrambi i protagonisti sono costretti ad una fuga senza sosta poiché nascondersi significa doversi necessariamente fidare di qualcuno e quindi può essere estremamente pericoloso. Finite le persecuzioni e tornata la tregua, entrambi sceglieranno di proseguire la loro vita in un altro Paese (il primo in Israele, il secondo nella Turchia ottomana). Il loro mondo è totalmente e irrimediabilmente distrutto e nei luoghi natii nessuno dei due avrà più ragione di rimanere. Pur essendo quasi tutti i personaggi di fantasia, e pur riportando alcuni difetti di anacronismo, l’ambientazione de’ “Il cabalista di Lisbona” è reale e le descrizioni dell’atmosfera che il protagonista è costretto a vivere è del tutto verosimile. Nonostante Richad Zimler sia nato negli Stati Uniti e per di più dopo la seconda guerra mondiale, ha saputo comunque cogliere in pieno e soprattutto trasmettere attraverso le storie da lui inventate (non è un caso, forse, che a distanza di qualche anno dal Cabalista di Lisbona abbia scritto un romanzo ambientato proprio nel ghetto di Varsavia) la drammaticità delle persecuzioni, della gratuita violenza antisemita.
E’ da poco passato Yom Ha Shoà e fra non molto sarà il 25 aprile, anniversario del quale alcuni hanno approfittato e probabilmente approfitteranno ancora per proseguire con la propaganda di odio nei confronti degli ebrei e di Israele. In tutte le ricorrenze noi ricordiamo i nostri morti, raccontiamo gli avvenimenti più tragici o quelli più commoventi, ma raramente rammentiamo alle persone intorno a noi l’esistenza di quel filo conduttore che lega il passato più lontano a quello più recente. Dovremmo cogliere qualunque occasione per spiegare che Hitler e il nazismo non sono stati un fenomeno di follia improvvisa e che senza il retaggio dell’antisemitismo religioso (sia delle varie confessioni cristiane che musulmano) e illuminista l’Europa probabilmente non sarebbe arrivata a concepire e tollerare le camere a gas e i campi di sterminio.