Covid: Israele e le presunte responsabilità verso i palestinesi. Siamo alle solite. Israele vanta un primato e subito una pletora di giornalisti e commentatori da strapazzo si affrettano a mettere in evidenza come il primato sia poco primato e come i palestinesi siano regolarmente penalizzati dallo stato ebraico.
Andiamo per ordine. È ormai notizia per i media mainstream come Israele sia la prima nazione al mondo per percentuale di vaccinati da COVID sulla totale della popolazione. Si tratta della cifra tonda di c.a mezzo milione di dosi somministrate nei dieci giorni di inizio della campagna. Medici e infermieri proseguono ad un ritmo di c.a 115mila vaccinazioni al giorno, con l’obiettivo di arrivare a 150mila a breve. Entro fine gennaio, fa sapere il ministero, 1/4 della popolazione israeliana sarà vaccinata.
Come è stato possibile raggiungere un tale successo? Grazie ad un’organizzazione capillare, che costituisce la spina dorsale del sistema sanitario nazionale. In Israele la sanità è organizzata in “Kupat Holim”, che sono organizzazioni private alle quali deve iscriversi ogni cittadino. Regolate da una legge nazionale del 1995, Maccabi, Clalit, Meuhedet e Leumit (questi i nomi) erogano servizi territorialmente grazie ad ospedali e ambulatori privati con i quali il cittadino ha un rapporto abbastanza stretto. Gli ambulatori privati devono cercare di non farsi sfuggire gli assistiti, tenendoseli stretti. Ricordo che quando abitavo a Tel Aviv, la dottoressa dell’ambulatorio di Yirmiyahu alla quale ero iscritto, puntualmente mi telefonava per visitarmi e io facevo sempre finta di essere all’estero. Fin dalla prima volta che la incontrai, mi disse che non avrei dovuto fumare, e così per due anni mi ha costretto, quando la incontravo per il quartiere, a nascondermi dietro un albero o a far finta di acquistare cose orribili in qualche negozio di fortuna.
Fatto sta che questa capillarizzazione, con telefonate a casa per prendere appuntamenti, unita alla costruzione di centri di vaccinazione temporanea, con l’aiuto del Pikud HaOref (il comando regionale dell’esercito) sta rendendo possibile questo ennesimo miracolo al quale la nazione ebraica ci ha abituato. Non che siano tutte rose e fiori, ovviamente, il sistema sanitario nazionale israeliano è perfettibile come quello di ogni altro paese del mondo. Quando per ragioni familiari purtroppo ho dovuto frequentare specialisti e ospedali, ho accumulato un grande numero di esperienze strane e distopiche, nel mio peregrinare da studi medici con condizioni igieniche terribili, con muffa e muri scrostati, a cattedrali di vetro e fibra ottica che sembravano astronavi. Ma è incontrovertibile il successo ottenuto in queste ore dal sistema, che rende Israele al centro delle conversazioni su come imitarlo o su cosa funziona o non funziona nei sistemi sanitari dei paesi che lo osservano.
In Italia si conversa molto a riguardo, ma bisognerebbe riflettere sulla libertà che ha un paese come Israele di procedere all’acquisto di milioni di dosi di Pfizer-BioNtech e Moderna in totale autonomia, a differenza dell’Italia dove si è soggetti alla regolamentazione dell’EMA (l’«agenzia del farmaco» europea) e dell’Unione Europea. Se l’Italia lo avesse fatto in modo indipendente – e avesse, che so, acquistato il vaccino dalla Cina o dalla Russia – , sarebbe andata incontro a violazioni e avrebbe rinforzato le file del fin troppo nutrito gruppo degli anti-vax.
Quello a cui assisto ogni volta che si parla, anche in contesti scientifici, delle performance israeliane è alle domande dei soliti commentatori che vogliono essere originali per forza, cercando di demolire i successi ottenuti. “Le statistiche non tengono conto dei cittadini palestinesi”, “Israele è uno stato occupante, perciò vaccina solo gli ebrei”, “Tutti si dimenticano dei palestinesi nei territori occupati, che se muoiono agli israeliani non importa nulla”, “Solo israeliani e non palestinesi, purtroppo. Quindi il dato non si riferisce alla popolazione effettiva presente nel territorio (faccina triste)”. Insomma una sequenza di bestialità che non varrebbe la pena nemmeno smontare, se non fosse, che pure queste idiozie, cagionano danno e fanno proseliti.
Per chi non lo sapesse, le statistiche israeliane comprendono tutti i cittadini del Paese, che sono di ogni confessione religiosa. Quindi, com’è logico, israeliani ebrei, laici, musulmani, cristiani, drusi, Baha’i, pastafariani, bianchi, neri, a pois, sionisti, ciclisti, vegani e respiriani, fanno tutti statistica e sono contemplati dai numeri esibiti sui media di tutto il mondo. Punto.
I palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza, invece, sono soggetti alla loro stessa autorità, in campo medico. Già immediatamente dopo l’entrata in vigore degli accordi Oslo (parliamo del 1993), allo scopo di promuovere lo sviluppo economico in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è stata trasferita ai palestinesi l’autorità nei settori dell’istruzione e cultura, della previdenza sociale, delle imposte, del turismo e ovviamente della sanità.
Anche considerando quindi la divisione nelle zone in attesa di uno status finale, A (pieno controllo dell’Autorità palestinese), B (controllo civile palestinese e controllo israeliano per la sicurezza) e C (pieno controllo israeliano, eccetto che sui civili palestinesi), non si capisce perché debba ricadere sul sistema sanitario israeliano (o sulla relativa statistica) il benessere e la somministrazione di vaccini alla popolazione araba in quelle aree.
Anzi, che la vaccinazione in Giudea e Samaria sia un problema tutto palestinese lo dichiarano i medici arabi stessi: pochi giorni fa sul Manifesto il dottor Ali Abed Rabbo, direttore generale del ministero della sanità palestinese, conferma l’ordinazione di 150mila dosi del vaccino russo Sputnik. «Potrebbero arrivare – aggiunge – (anche) un numero limitato di dosi nel quadro del Covax Facility, il programma dell’Oms che garantisce l’accesso equo ai vaccini. E le useremo per vaccinare il personale medico e, speriamo, un po’ delle persone più esposte alle conseguenze gravi del Covid-19».
Come si può affermare quindi che Israele bloccherebbe l’entrata di vaccini con il pretesto del controllo delle frontiere se tali vaccini non sono nemmeno arrivati? Quando arriveranno, così come è regolarmente permesso giornalmente il transito di tonnellate di materiale medico da parte del COGAT (l’ente di coordinamento israeliano per le attività nei Territori), questi vaccini arriveranno al destinatario.
Confrontare la situazione tra Israele e i c.d. “territori” inoltre, equivale a confrontare le mele con le pere. Sebbene anche in Israele non manchino i cretini no-vax, è indubbio che la stragrande maggioranza della popolazione – pure di uscire da un lockdown che hanno interpretato creativamente – ha scelto di farsi vaccinare. Dall’altra parte, le direttive del governo nelle città autonome palestinesi non sono osservate dalla popolazione, in particolare da commercianti e imprenditori. E in Cisgiordania non si riesce ancora a contenere la diffusione del coronavirus: ieri si sono registrati quasi 600 casi positivi, il numero più alto dall’inizio della pandemia.
È addirittura paradossale poi che nonostante la gestione sanitaria separata (che conta decine di ospedali in Cisgiordania e a Gaza, come facilmente consultabile su wikipedia, strutture dell’UNRWA, ONG e ambulatori privati), centinaia di migliaia di palestinesi dei territori comunque ricevano trattamenti medici in Israele (180.000 solo nel 2010), tra i quali membri di Hamas stessa, l’organizzazione che vorrebbe distruggere lo stato ebraico. Il COGAT ha persino un’application dedicata ai permessi di salute per tutti i residenti palestinesi di Giudea e Samaria.
Insomma, ancora una volta, il fatto non sussiste. Nonostante si provi ad inchiodare al banco degli imputati Israele, parlando di statistiche falsate, la verità sarebbe giusto che emerga in tutta la sua forza.