La notizia è stata molto strillata sui giornali: La Corte Penale Internazionale (CPI) avrebbe messo sotto accusa Israele per “crimini di guerra” commessi nei “territori occupati”. In realtà le cose, sul piano legale non stanno affatto così. Come si vede dal comunicato ufficiale, avendo raggiunta la convinzione che “crimini di guerra sono o sono stati commessi in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e a Gaza”, senza precisare da chi, e “date le questioni legali e fattuali uniche e altamente contestate legate a questa situazione”, la procuratrice generale presso la corte ha “chiesto conferma [ del “territorio” sul quale la Corte può esercitare la propria giurisdizione e che può sottoporre a indagine]” alla prima sezione della corte, che in questo caso ha una funzione analoga a quella del nostro giudice delle indagini preliminari.
La questione che si pone è dunque estremamente preliminare, si tratta della competenza della corte ad aprire indagini. Le “questioni legali e fattuali” sollevate dalla Procuratrice hanno a che fare con tre temi molto importanti. Il primo è che un caso davanti alla Corte Penale Internazionale può essere sollevato solo da uno Stato, non da un privato o da un’altra qualunque istituzione. Ora l’Autorità Palestinese, pur definendosi Stato, manca di alcuni dei requisiti giuridici elementari per la statualità, che, secondo la convenzione di Montevideo del 1933 sono:
a) un territorio ben definito e controllato totalmente da un
b) potere di governo esclusivo,
c) una popolazione altrettanto definita,
d) rapporti con altri stati.
In particolare vi sono due governi (oltre a quello dell’AP a Ramallah vi è quello di Hamas a Gaza), il che contrasta con i punti a) e b); nel territorio rivendicato da Ramallah vi sono zone controllate da Israele e in tutti gli altri le truppe di Israele svolgono le operazioni fondamentali per la sicurezza (di nuovo contro il punto a)); la popolazione non è ben definita, perché comprenderebbe i discendenti dei “rifugiati” che spesso hanno altre cittadinanze; il potere di governo non è esclusivo perché per alcuni aspetti fondamentali (moneta, confini, rifornimenti di beni essenziali come l’acqua e l’energia dipende da Israele.
Il secondo problema è che la Corte Penale Internazionale può intervenire solo dove gli Stati non conducano indagini su eventuali crimini con un sistema legale autonomo e affidabile, cosa che Israele fa. Il terzo è che Israele (come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India, cioè la maggior parte della popolazione e del territorio del mondo) non ha aderito allo Statuto di Roma che ha istituito la CPI e quindi non risponde alle sue norme. Insomma vi sono molte ragioni formali per cui la richiesta della procuratrice dovrebbe essere respinta. Sul piano sostanziale poi è chiaro che nelle operazioni a Gaza e in Cisgiordania, Israele esercita la propria autodifesa contro un terrorismo particolarmente efferato e non contrastato dalle organizzazioni politiche che gestiscono quel territorio e anzi ne sono promotrici e finanziatrici. Inoltre Israele fa la massima attenzione a limitare i possibili danni ai civili, per esempio avvertendo con volantini e perfino telefonate ai civili che sono usati come scudi umani dai terroristi di Hamas, e in genere cerca di tenere al livello più basso lo scontro, intervenendo solo in maniera proporzionale per bloccare gli attacchi missilistici o di altra natura che i terroristi compiono sui propri civili, com’è dovere di ogni Stato.
Oltre ai “crimini di guerra” che potrebbero essere stati commessi nel contrasto agli attacchi terroristici, il comunicato della Procuratrice, includendo anche i territori di Giudea e Samaria, lascia intendere che ci sia l’intenzione di processare gli insediamenti israeliani in queste terre; ma è ormai chiaro che la vecchia tesi dell’illegalità di questi insediamenti, cara agli arabi e alla sinistra, non regge più. Che quella in Giudea e Samaria sia una “occupazione” è reso problematico dal fatto che non è possibile indicare nessuno stato da cui quei territori sarebbero stati “sottratti” quando sono stati liberati nel 1967; non dalla “Palestina” che esisteva allora ancor meno di adesso e mai nella storia era esistita, non dalla Giordania, che li aveva a sua volta occupati irregolarmente fra il ‘48 e il ‘67, senza alcun riconoscimento internazionale, non dal dissolto Impero Ottomano che li aveva retti per quattro secoli fino al 1918, non dalla Gran Bretagna che aveva avuto dalla Società delle Nazioni il mandato di amministrarli allo scopo esplicito di favorire l’insediamento degli ebrei e la costituzione di una patria (“national home”) per il popolo ebraico. Inoltre i vari accordi armistiziali e poi quelli di Oslo non hanno affatto definito la loro situazione giuridica, sicché anche gli Stati Uniti si sono spinti di recente a dichiarare che non vi è affatto ragione di definire abusiva o addirittura criminale la loro esistenza.
Ma è probabile che, dopo un processo giuridico che potrebbe durare parecchi mesi, la sezione della Corte Penale Internazionale dia il via libero alla procuratrice, dato che la stessa sezione l’ha più volte sollecitata ad aprire indagini sul caso della battaglia fra forze navali e terroristi che si è svolto nella nave Mavi Marmara della flottiglia che cercava di rompere il blocco navale di Gaza nel maggio 2010, anche se in questo caso vi erano ancora altri ostacoli giuridici e fattuali al procedimento, sicché la stessa procuratrice si è rifiutata per ben tre volte di aprire l’indagine. Per dirlo chiaro, la CPI è fortemente antisraeliana, come tutti gli organismi internazionali che promanino dall’Onu, o ne siano finanziati (questo secondo è il caso della CPI). Per una documentazione sulla parzialità e i fallimenti della CPI, consiglio di leggere questa analisi . Per questa ragione anche gli Stati Uniti hanno pubblicamente espresso solidarietà a Israele.
La posizione della CPI è probabile anche alla luce di una tendenza alla giuridificazione della vita politica interna e internazionale degli Stati che è evidente in molti luoghi dall’Italia a Israele alla Comunità Europea agli Stati Uniti: dappertutto vi è un conflitto fra politica e magistratura, perché i giudici tendono a stabilirsi come decisori di ultima istanza di conflitti appartenenti al campo della politica, e lo fanno sulla base di una ideologia di sinistra scambiata per Giustizia e utilizzata come criterio giuridico anche dove non esiste una legge esplicita da applicare, come spesso (e anche questa volta) accade in diritto internazionale.
Israele finora ha usato una politica molto flessibile nei confronti della CPI, confermando la propria non accettazione della giurisdizione, ma collaborando in parte a fornire gli elementi a suo discarico e riuscendo così a rallentare e a rendere meno incisiva il possibile attacco giuridico. E’ probabile che questo attento e articolato doppio binario d’azione continui nei prossimi anni, perché si è dimostrato finora efficace se non a far prevalere le buone ragioni di Israele, almeno a mettere in dubbio il tentativo di “guerra legale” che i palestinisti gli fanno in tutte le sedi, e in particolare anche alla Corte Penale Internazionale. Per esempio, oltre a far notare l’infondatezza legale e giuridica delle accuse proposte, è probabile che Israele faccia notare come non solo gli attacchi missilistici di Hamas e della Jihad Islamica da Gaza, ma anche i finanziamenti sistematici ai terroristi condannati, l’esaltazione indiscriminata di quelli morti e la continua propaganda per la distruzione di Israele che vengono dall’Autorità Palestinese sono crimini di guerra, chiedendone la condanna. Insomma, quel che si apre all’Aia non è un processo o una condanna di Israele, ma un nuovo fronte di battaglia, il cui senso fondamentale non sarà penale ma politico e propagandistico. A tutti noi spetta il compito di far chiarezza, di spiegare, di partecipare nei limiti delle nostre forze alla difesa contro la guerra legale che i nemici di Israele hanno aperto.