Comunità ebraica di Napoli e amministrazione De Magistris: un rapporto sempre più complicato

Gerardo Verolino
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Comunità ebraica di Napoli e amministrazione De Magistris: un rapporto sempre più complicato

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Comunità ebraica di Napoli e amministrazione De Magistris: un rapporto sempre più complicato. È passato da poco il Giorno della Memoria che ci ricorda che, settant’anni fa, i nazisti perseguitarono gli ebrei per il conseguimento del loro folle piano genocida che mirava a sterminare un intero popolo. Oggi, a Napoli, per fortuna, non ci sono più i nazisti che perseguitano gli ebrei, ma, in un certo senso, ci sono i rappresentati della Giunta cittadina che lo fanno, non in modo cruento come i nazisti, ma con dispettucci e discutibili prese di posizione, che gli ebrei non possono accettare.

Per capire quel che succede sotto il Vesuvio bisogna cominciare dall’origine. Cioè dalla prima elezione, nove anni fa, del sindaco della città Luigi de Magistris. Un uomo, formatosi politicamente, negli ambienti della sinistra estrema dove alla parola Palestina si associava automaticamente la parola vittima e al termine Israele si associava di fatto la parola carnefice. È in base a questa (sbagliata) forma mentis, che Luigi de Magistris dirige la sua azione in “politica estera”, perché lui si sente e si comporta come se fosse il primo ministro di uno Stato indipendente, e non un semplice amministratore pubblico, facendo del Comune di Napoli, una succursale di Ramallah, sposando fedelmente tutte le istanze dei palestinesi e criticando, sempre e solo, tutte le azioni dello Stato d’Israele.

Facendolo, quasi sempre, in modo scomposto, fuori dalle righe, come fanno tutti quelli che non amano Israele, e, anche se ufficialmente non lo dicono, non ne riconoscono l’esistenza stessa come Stato. La posizione unilaterale del Comune di Napoli, totalmente sbilanciata a favore dei palestinesi (che poi, non corrisponde affatto, alla maggioranza del pensiero dei napoletani) ha irritato gli ebrei napoletani che si sono sentiti, di fatto, discriminati e hanno vissuto, e vivono, un senso di isolamento dal Comune.

Il sindaco, in sintonia con tanti consiglieri ed assessori che la pensavano come lui, da Mario Coppeto a Sandro Fucito, durante i nove anni di governo, ha manifestato in tanti modi il suo filopalestinismo: ha offerto la cittadinanza onoraria al capo dell’Olp Abu Mazen; l’ha offerta a Bilal Kayed, noto terrorista palestinese; l’ha offerta ad un arcinemico d’Israele come Mohammad Bakri, il regista di “Jenin, Jenin”; ha concesso una sala del Comune per la proiezione del film di Samantha Comizzoli, “Israele, il cancro”; ha benedetto ed armato le varie flottiglie che dal porto di Napoli si dirigono, con intento provocatorio, verso Gaza; ha ospitato nella Sala Consiliare un convegno degli aderenti al Bds, e, di fatto, sposandone le tesi; ha chiesto, attraverso la sua maggioranza in Consiglio comunale, che venisse votato l’embargo militare per Israele; e perfino su cose minori, come è successo alle ultime Universiadi tenutesi a Napoli, dove, rompendo la famosa tregua olimpica, ha invitato in Comune, i soli atleti palestinesi, mostrandosi, oltremodo, scorretto con gli ebrei.

Per queste e per altre cose, è stato percepito come un nemico dalla Comunità, che da lui e dagli altri esponenti della Giunta, si tiene alla larga. E non basta a ripulirsi la coscienza se presenzia alle cerimonie del Giorno della Memoria (che è il minimo sindacale per ogni essere umano) o se cambia la toponomastica di qualche strada, rimuovendo il nome di un esponente legato al Fascismo, con quello di un ebreo. Come ha fatto per Piazzale Tecchio a Fuorigrotta, per esempio, sostituendolo col nome di Ascarelli (Giorgio Ascarelli, grande presidente ebreo del Napoli calcio). Quando lo fa, (magari, anche, per omaggiare Ascarelli), è soprattutto, per assecondare la sua retorica partigiana ed anti-nazista che fa parte di un consolidato armamentario politico-propagandistico, più che per un’affezione verso gli ebrei.

In nove anni, i rapporti tra il Comune di Napoli, sotto la guida di de Magistris, e la comunità ebraica sono stati freddi, di reciproca incomprensione, raggiungendo anche punte di asprezza, come in occasione del convegno dei rappresentati del Bds, che si tiene, nel 2017, nella sede del Consiglio Comunale, per cui è costretto ad intervenire, visibilmente seccato, anche il Vice-Ambasciatore d’Israele, Dan Haezrachy, che sul “Mattino”, scrive una lettera pubblica intitolata “Napoli, se la città di pace sfida Israele” che è un duro atto d’accusa verso il Comune di Napoli.

Ma, da alcuni mesi, dopo la nomina ad assessore alla Cultura di una giovane consigliera comunale che proviene dal centro sociale “Insurgencia”, Eleonora De Majo, balzata alle cronache per aver definito “porci negazionisti” gli israeliani e per aver equiparato Netanyahu a Hitler, i rapporti sono precipitati ulteriormente, e di fatto, azzerandosi. In una città normale, l’assessore, per una cosa del genere, sarebbe stato fatto dimettere dai suoi stessi colleghi di maggioranza o lo avrebbe lei stessa fatto. Cosa che, invece, non è avvenuta. Non ci sono state spiegazioni plausibili della De Majo che ha seguitato ad affermare di stare nel giusto. Né mai si è scusata per le frasi sconce. Ragion per cui, in tutte le cerimonie, alle quali, per il ruolo istituzionale che ricopre, lei è presente, gli ebrei napoletani, “scappano” disertando, sistematicamente, le manifestazioni, per tenersi alla larga da lei.

Come è successo di recente per due eventi capitati a Napoli, nel giro di un mese. L’inaugurazione di 9 pietre d’inciampo, da installare in Piazza Bovio, al civico 33, per ricordare le vittime napoletane della Shoah, Amedeo Procaccia, Iole Benedetti, Aldo Procaccia, Milena Modigliani, Paolo Procaccia, Loris Pacifici, Elda Procaccia, Luciana Pacifici, Sergio Oreste Molco, e per il Giorno della Memoria. In entrambe le cerimonie, la Comunità aveva chiesto all’assessore De Majo di non essere presente. Di fronte alla richiesta legittima della Comunità ebraica, che in una città normale, sarebbe stata soltanto rispettata in silenzio, in questo caso, ciò non è avvenuto.

Perfino uno degli autori dell’iniziativa, lo scrittore Nico Pirozzi, è stato costretto ha prendere le distanze dalla De Majo, rifiutandosi di partecipare. L’assessore, invece, ha rincarato la dose, accusando gli ebrei di Napoli di un uso “strumentale” della vicenda. Insomma, per l’assessore, gli ebrei napoletani, su temi come la lotta all’antisemitismo farebbero speculazione politica. Un vero e proprio insulto. Concetto ribadito, durante, il Giorno della Memoria (anche in questo caso disertato dagli ebrei napoletani) dal sindaco secondo il quale “chi non è presente oggi ha torto”.

Che brutta cosa approfittare di una manifestazione pubblica, per litigare con gli ebrei, guarda caso, proprio nel giorno in cui piangono i loro morti periti durante la Shoah. Una caduta di stile che si commenta da sola e che fa capire a che livello di degrado sono arrivati i rapporti tra la Comunità ebraica e il Comune di Napoli. Ormai il Municipio di Napoli e gli ebrei napoletani viaggiano per due mondi separati. Quando uno organizza un evento l’altro ne organizza un altro per conto proprio. Cosi, il 30 Gennaio, tre giorni dopo la manifestazione del Comune, la Comunità ebraica, in un solo giorno, ha voluto commemorare i due eventi: l’inaugurazione delle pietre d’inciampo e la commemorazione del Giorno della Memoria.

La manifestazione del 30 Gennaio 2020 indetta dalla Comunità Ebraica di Napoli

Ma, per fortuna, in questa storia storia c’è un lieto fine. Alle manifestazioni del Comune non c’era quasi nessuno. A quella della Comunità ebraica, invece, è accorsa, spontaneamente, una folla di napoletani che hanno voluto dimostrare tutta la loro solidarietà e il loro amore per gli ebrei.

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