Viene presentato in questi giorni all’Assemblea Generale dell’Onu un rapporto molto pubblicizzato della commissione d’inchiesta nominata dal Consiglio dei Diritti Umani per indagare su Israele. Questa è l’ottava commissione sul tema (mentre non vi è notizia di analoghi organismi per indagare su quel che la Cina fanno agli Uiguri, la Turchia ai curdi, l’Etiopia ai Tigrini, la Russia all’Ucraina, eccettera). Ma a differenza delle altre commissioni precedenti, che duravano un anno e avevano competenza solo sui territori disputati di Giudea, Samaria e Gaza, essa estende la sua competenza anche al territorio “storico” dello stato di Israele (quello precedente alla Guerra dei Sei Giorni), con l’intento evidente di mettere in discussione la legittimità stessa dello stato ebraico e della sua appartenenza all’Onu, come ha dichiarato esplicitamente anche uno dei tre membri della commissione, Miloon Kothari; inoltre non avrà limiti temporali e ha l’incarico non di accertare qualche momento specifico del conflitto, ma “le radici della violenza”, il che significa l’autorizzazione a un discorso propagandistico senza legami con la realtà.
Il rapporto è stato già pubblicato la settimana scorsa e all’Assemblea Generale sarà certamente oggetto di una mozione di approvazione, con la solita maggioranza terzomondista-comunista precostituita all’Onu. Sarà interessante vedere come voterà in questa occasione il rappresentante italiano, se le direttive del nuovo ministro degli esteri Tajani saranno diverse da quelle del passato, in cui l’Italia votava regolarmente le mozioni contro Israele o al massimo si asteneva.
Questo rapporto si focalizza in particolare sul conflitto con Hamas dell’anno scorso, ma non nomina mai l’organizzazione terrorista e non usa parole come “terrorismo” o “missili”. Il problema non è insomma per la commissione l’esistenza di bande pesantemente armate che attaccano la popolazione civile provocando lutti e distruzioni, ma “l’annessione de facto” che Israele avrebbe praticato sui territori contesi, che la commissione senza giustificazione giuridica considera automaticamente “palestinesi”. Le ragioni per sostenere questa “annessione de facto” (che contrasta clamorosamente con l’esistenza stessa su quel territorio di un’Autorità Palestinese fornita di governo, forze di polizia, presidente, università, uffici territoriali) sarebbero “l’espropriazione di terre e risorse naturali, la creazione di insediamenti e avamposti, il mantenimento di un regime di pianificazione e costruzione restrittivo e discriminatorio per i palestinesi e l’estensione della legge israeliana in modo extraterritoriale ai coloni israeliani in Cisgiordania”. La “discriminazione verso i palestinesi” sarebbe poi la stessa che lo stato di Israele dal 1948 avrebbe praticato contro i suoi stessi cittadini arabi: è una riproposizione della tesi dei gruppi palestinisti per cui non c’è distinzione fra Giudea e Samaria e Tel Aviv o Haifa: sarebbe tutta “occupazione”, naturalmente illegale. E’ evidente che il rapporto non si occupa di quel che è davvero accaduto nel conflitto con Hamas, o di dare dei suggerimenti realistici per arrivare a una convivenza pacifica fra ebrei e arabi in Giudea e Samaria, ma solo di fornire armi polemiche alla propaganda palestinista di deliegittimazione dello stato di Israele.
La reazione di Israele a queste affermazioni non si è fatta attendere: il primo ministro Lapid ha dichiarato che il rapporto è “parziale, falso, incitante e palesemente sbilanciato”; gli Usa hanno raccolto le firma di 23 stati sotto una lettera che ne chiede lo scioglimento. Ciò deriva anche dalla sia composizione: il presidente è la sudafricana Navanethem (detta Navi) Pillay che dal 2008 fino al 2014 ha presieduto l’”Alta Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani”, in una maniera così scandalosamente parziale (e principalmente anti-israeliana), da indurre gli Stati Uniti a uscirne, provocando una grave crisi nell’elefantiaco apparato delle Nazioni Unite dedicato ai diritti umani. Accanto a lei vi sono l’architetto srilankese Miloon Kothari, che si definisce “studioso e attivista” ed è entrato nella setta degli “esperti” delle Nazioni Unite sui diritti umani facendo il primo “relatore speciale dell’Onu sull’adeguatezza degli alloggi”. Diverse sue dichiarazioni hanno suscitato polemiche per l’evidenza di un pregiudizio antisemita. Il terzo componente è l’avvocato australiano Chris Sidoti, un altro membro di lungo corso del gruppetto anti-occidentale e anti-israeliano da cui l’Onu trae i suoi esperti. Non a caso Hiller Neuer dell’organizzazione “UN Watch” che monitora le politiche anti-istraeliane dei vari organismi dell’Onu ha sostenuto che “questa commissione di inchiesta è obiettiva, imparziale e credibile più o meno come l’Inquisizione spagnola”.