Inverno, festa di Chanukkà 5706 (1945). Un bambino di sei – sette anni e suo fratello di nove, due tra 300 bambini scesi dalle navi, scampati dai campi di concentramento di Bergen Belsen e Buchenwald, vengono inviati nei campi di raccolta dei profughi, appena arrivati in Israele.
I due bambini discendono da una famiglia di importanti rabbini provenienti dalla Polonia. Il più piccolo poco sa della tradizione ebraica, perché all’età di due anni e mezzo era stato costretto ad abbandonare la casa del padre: non conosce i canti e le tradizioni con i quali viene ora a contatto per la prima volta.
Ma quando arriva la festa di Chanukkà e cominciano a cantare il canto tradizionale Maoz tzur jeshu’atì, un ricordo lo assale e, rivolto al fratello maggiore, chiede: dove abbiamo già ascoltato questo canto? E il fratello gli ricorda che era stato l’anno prima, quando si trovavano ancora a Buchenwald. Sì, adesso il bambino ricorda.
Correva l’inverno 1944. Campo di concentramento di Buchenwald, Blocco 62, dove erano internati 400 ebrei. Dopo cinque ani e mezzo di terrore non rimanevano che scheletri, quasi larve umane. Sui giacigli di legno si ammassavano per dormire fino a 14 persone una attaccata all’altra, tanto che, chi aveva il bisogno di rigirarsi nel letto, doveva svegliare tutti gli altri per potersi voltare tutti insieme.
Alla sera vi era la distribuzione del cibo. Venivano portate due grandi pentole e due internati di turno provvedevano alla distribuzione, mentre il tedesco di guardia controllava la situazione. Ognuno riceveva 150 grammi di pane, che era la razione giornaliera, un bicchiere di acqua calda che chiamavano the e, a seconda dei giorni, riceveva una razione di margarina. 200 grammi venivano divisi in 16 parti.
Finita la distribuzione, i due internati di turno chiedevano al controllore tedesco cosa dovevano fare coi resti e i pezzi di margarina solida che rimanevano attaccati alla pentola.
Al che il tedesco si faceva portare la pentole. Prendeva i pezzi più grossi di margarina, quelli ancora solidi e diceva: “Adesso io li getto per aria e chi li prende sono suoi”. Non mancavano davvero persone che, a causa della fame e delle molte sofferenze, avevano completamente perso il senso della propria dignità ed erano pronte a gettarsi ai piedi della guardia per raccogliere quel po’ di margarina ancora disponibile. Si formava così un groviglio umano ai piedi del tedesco, che godeva alla vista di questo spettacolo.
Nel blocco 62 c’era una persona anziana che aveva mantenuto uno sguardo e un comportamento altero: quest’uomo non mancava mai di aiutare gli altri, aveva sempre una buona parola per tutti e spesso distribuiva ad altri anche parte del cibo che sarebbe toccato a lui: aveva insomma mantenuto una dignità che non lo avrebbe mai portato a gettarsi ai piedi del tedesco per conquistarsi un pezzetto di margarina. Ma un giorno accadde inaspettatamente che, dopo la fine della distribuzione del pane, del the e della margarina, quando come era solito fare, il tedesco prese i pezzetti di margarina solida ancora rimasti, l’anziano si gettò sulla margarina e rimase disteso per terra finché non si fu assicurato che la margarina che era riuscito a raccogliere era al sicuro. Anche il vecchio aveva ceduto, era crollato di fronte a una realtà disumanizzante. Anche lui aveva venduto la propria dignità per un po’ di margarina.
Il vecchio si alzò lentamente e gli altri ebrei, mossi a pietà gli consegnano i propri pezzi di margarina. Ciò che meravigliò gli astanti fu il fatto che il vecchio li accettò.
Poi rifugiatosi in un angolo, aspettò che il tedesco uscisse. La gente intanto aveva notato con meraviglia che teneva la margarina solida vicino al bicchiere di the caldo, così che la margarina cominciava a sciogliersi.
Sembrò impazzito, tirava con forza i bottoni della sua vecchia divisa di internato e li strappava via. Anche lui a Buchenwald aveva ceduto alle lusinghe della pazzia, avevano convenuto gli altri internati. Con gesti convulsi prese a sfilare alcuni fili dai lembi del vestito. Il vecchio si alzò in piedi, aveva in mano i bottoni, i fili e la margarina liquida e gridò ai 400 internati del blocco 62 di Buchenwald: “Ebrei, oggi è Chanukkà!”
Dopo cinque anni e mezzo di terrore, quel vecchio senza calendario ebraico, senza radio, senza alcun collegamento con l’esterno, era riuscito a tenere i conti, non aveva perduto la nozione del tempo ed era riuscito a stabilire la data di Chanukkà. Sapeva con precisione quando sarebbe caduto Chanukkà e in quale giorno della festa si trovavano: aspettava solo il giorno della distribuzione della margarina.
Prese i bottoni e li mise per terra, poi prese i fili e li infilò nei bottoni, versando un po’di margarina sui bottoni. Ecco… adesso aveva tutto ciò che gli era necessario per accendere i lumi della festa di Chanukkà.
Una persona arrotolò un pezzo di carta e, dopo essersi arrampicata sulle spalle di un altro internato, lo accese usando il fuoco della lampada a nafta che illuminava debolmente il blocco. Poi lo consegnò al vecchio che, in piedi, in mezzo ai 400 internati accese i lumi recitando le benedizioni di rito:
1) Benedetto Tu o Signore che ci hai ordinatori accendere i lumi di Chanukkà
2) Benedetto Tu o Signore che hai fatto miracoli ai nostri padri in quei giorni in questo tempo
3) Benedetto Tu o Signore che ci hai mantenuto in vita fino a questo momento
Fu allora che tutti i prigionieri cominciarono a cantare dapprima a bassa voce ma poi sempre con maggior forza Maoz zur jeshu’ati. Mentre il canto dei 400 internati si faceva sempre più forte, nel blocco 62 del campo di concentramento di Buchenwald la porta di blocco viene aperta con violenza e al kapò e alla guardia tedesca delle SS che erano di guardia al blocco si presentò uno spettacolo incredibile: quattrocento internati per un momento avevano conquistato la loro libertà, come al tempo dei Maccabei: cinque anni e mezzo di terrore avevano fiaccato il cuore, ma non il loto spirito.
Il bambino non aveva certo potuto dimenticare quel momento in cui la luce e il canto di Chanukkà avevano illuminato il Blocco 62 del campo di concentramento di Buchenwald.
(Traduzione e adattamento di Scialom Bahbout da un racconto orale, riportato in forma diversa anche in Sefer pardès chanukkà di A. P. Roszenwasser, Gerusalemme 5750, p. 329)