“Il patriottismo è l’estremo rifugio delle canaglie”, scriveva Samuel Johnson. Non ce l’aveva con i patrioti ma con chi indegnamente strumentalizzava il concetto. Le canaglie, oggi, preferiscono rifugiarsi dietro i cosiddetti “diritti umani”, splendido e nobile pretesto per una palese opera di diffamazione e criminalizzazione come quella che il BDS conduce dal 2005 contro Israele.
Il movimento, costituito da 170 ONG palestinesi ha lo scopo dichiarato di danneggiare economicamente lo Stato ebraico attraverso il boicottaggio di prodotti provenienti dalla Cisgiordania, quello di compagnie israeliane ivi operative, di istituti e compagnie aventi contratti con l’esercito, di docenti e università israeliane. Tutto ciò in nome dei “diritti umani” che Israele, rappresentato come una entità criminale, calpesterebbe.
La piattaforma “non violenta” del BDS è di fatto corrispondente al non uso effettivo delle armi. La violenza di cui fa uso, infatti, è un’altra. Consiste nella diffamazione programmatica di Israele attraverso l’utilizzo dei consolidati feticci lessicali in dotazione alla sinistra radicale: l’occupazione, l’apartheid, il razzismo, il muro segregazionista. Un altro modo di proseguire sulla linea codificata dall’Unione Sovietica e dagli stati arabi dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, quando si decise a tavolino, non avendo potuto distruggere Israele fisicamente, di assassinarlo in effige. Nulla di nuovo. Infondo si trattava, e si tratta, dell’opera di demonizzazione degli ebrei che il nazismo aveva così sapientemente ed efficacemente saputo organizzare. Poiché, nel momento in cui l’unico stato ebraico al mondo viene raccontato come una entità violenta, razzista e criminale come fa il BDS con così tanto fervoroso zelo, cosa si fa se non riproporre pari pari uno dei persistenti paradigmi dell’antisemitismo di ogni epoca, quello della colpevolezza ebraica? Come ha chiaramente evidenziato Pierre André Taguieff:
“La demonizzazione dello stato ebraico, trattato come l’incarnazione del male, implica una messa in stato di accusa permanente della politica israeliana fondata su tre basi mitiche di riduzione: il razzismo/ il nazismo/ l’apartheid, sulla sua criminalizzazione centrata sull’uccisione di bambini palestinesi (o musulmani) e sul complotto giudaico mondiale (detto ‘sionista’( la cui ‘testa’ si troverebbe in Israele”.
Tutto ciò ha, naturalmente, un antecedente. Si tratta del falso confezionato dalla polizia segreta zarista, l’Ochrana intorno alla fine dell’Ottocento, gli immarcescibili Protocolli dei Savi di Sion, nei quali, per la prima volta venne messo in scena attraverso una suggestiva fiction, il complotto dei complotti, quello ebraico, il cui scopo dichiarato è il dominio del mondo. Testo dominus dei demonizzatori, I Protocolli, dagli anni ’30 in poi, hanno goduto di ampia fortuna nei paesi musulmani grazie alle prime traduzioni fatte fare dai Fratelli Musulmani.
La “delinquenza” ebraica messa in luce dai Protocolli e che tanto affascinavano la mente paranoide di Adolf Hitler è la matrice a cui fa riferimento ogni successiva criminalizzazione nei confronti degli ebrei. Quella contro Israele non è che una variante. Così, al posto delle immagini raffiguranti ebrei vampiri dai nasi adunchi e delle mani artigliate lorde del sangue, appassionatamente propagate da Der Stürmer, la rivista grossolanamente antisemita pubblicata in Germania dal 1923 al 1945, si è passati oggi a quelle tanto in voga nel mondo musulmano in cui gli ebrei non indossano più gabbane nere ma uniformi dell’IDF.
Il BDS con il suo apparato propagandistico demonizzante costruito sulle tre basi mitiche di riduzione evidenziate da Taguieff, non è altro che una variante di questa stessa linea di pensiero, riciclata dai russi, i più persistenti confezionatori occidentali di propaganda antisionista dalla caduta del nazismo fino a quella del comunismo (d’altronde c’è perfetta continuità essendo stati loro a diffondere per primi in Europa il veleno dei Protocolli). Il sodalizio con gli arabi è stato fondamentale per questa diffusione.
Oggi, a vent’otto anni dalla fine dell’Unione Sovietica, sono quest’ultimi a continuare l’opera con il fiancheggiamento occidentale della sinistra terzomondista la quale, nei campus americani, ha dato vita a vere e proprie baldorie antiisraeliane chiamate “Apartheid Week”. Essere ebrei diventa allora assai rischioso se si osa difendere Israele. Ed qui che cade la finzione. Dei “diritti umani”, dell’antisemitismo separato dall’antisionismo, e si rivela, abbagliante e osceno ciò che si pensa veramente. Non è più l’israeliano a essere il problema. E’ l’ebreo.