Ci sono storie belle da raccontare, dove i giochi politici e i tornaconti personali lasciano spazio all’umanità e alla fratellanza. Come quella accaduta nei giorni scorsi all’ospedale Sheba Medical Center di Tel HaShomer, vicino Tel Aviv, dove un delicato intervento ha salvato la vita a un bambino palestinese a cui è stato donato il cuore di un bambino israeliano, deceduto per malattia.
Bambino palestinese, che dopo la paura iniziale, sta migliorando. A darne notizia è stato dottor David Mishaly, capo dell’Unità di chirurgia cardiaca pediatrica dello Sheba Medical Center di Tel HaShomer, che ha spiegato le precarie condizioni del piccolo al suo arrivo in ospedale:
“A differenza di quanto avviene in Israele, nel territorio sotto giurisdizione dell’Autorità Palestinese non esistono liste di donatori d’organi né liste di pazienti in attesa. Purtroppo il piccolo Musa, già in partenza gravemente malato, è arrivato in condizioni molto critiche a causa di numerose complicazioni e la sua situazione resta precaria”.
La morte del bambino israeliano è avvenuta poco prima all’aggravarsi delle condizioni fisiche del suo coetaneo palestinese, che hanno portato alla richiesta da un ospedale di Ramallah di poter salvare il piccolo, il cui appello è coinciso con la decisione dei genitori israeliani di donare gli organi del figlio.
La nonna di Musa ha detto che assieme ai suoi famigliari “vorrebbe incontrare la famiglia del bambino ebreo nel prossimo futuro per ringraziarli della loro generosità”.
Questo episodio dà la possibilità di credere che la guerra non è un atto dovuto. Non è un qualcosa che debba rimanere inalterato, ma che può cambiare e permettere a due popoli di vivere in pace.
Ma la pace la vogliono davvero tutti?