Giornali e tv si riempiono delle immagini di un soldato israeliano che blocca un bambino palestinese e dell’eroico intervento della famiglia che strappa il giovane dalle grinfie dell’occupante. Ma come stanno veramente le cose? Che lettura possiamo dare a questo episodio?
In questa nuova crociata tra carta stampata e internet anche l’informazione più neutra riferisce la vicenda senza avanzare uno straccio di dubbio nei confronti di una versione (=israele-aggressore, palestinese-resistente) accettata come fosse un libro sacro. Si capisce benissimo che molti giornalisti non conoscono il contesto e non si sono fatti uno straccio di domanda prima di vergare la loro tesi preconfezionata: gli israeliani confermano di essere dei mostri che imprigionano immotivatamente bambini responsabili per lo più del lancio di sassi e di resistenza passiva, e rappresentano in quanto a crudeltà un caso più unico che raro nel mondo. Prima di tutto è bene chiarire che il filmato è vero e che se un abuso ci fosse stato, andrebbe condannato. Ma la vicenda e i commenti che sono seguiti alla diffusione di questa notizia meritano qualche minuto per inquadrare la faccenda in un contesto più ampio.
Chi sono i bambini palestinesi che Israele blocca e detiene e che si vedono anche in questo filmato? Già il fatto di chiamarli “bambini” denota una certo orientamento. In realtà si tratta per la maggioranza di adolescenti tra i 13 e 17 anni. E’ bene sapere che le corti militari considerano i bambini di età compresa tra i 16 e i 18 come adulti, a causa della consuetudine di alcuni paesi di utilizzarli come soldati, ma le agenzie palestinesi si rifiutano di considerarli tali per continuare a chiamarli “bambini” e rafforzare il loro assunto. In ogni caso questi adolescenti non vengono strappati alle loro famiglie per un capriccio dei cattivi soldati israeliani, ma sono responsabili di reati. Forse non tutti lo sanno, ma a Gaza sono moltissimi i giovani che ricevono un addestramento militare uguale a quello degli adulti e fin dalla più tenera età vengono tirati su con la cultura delle armi e dell’odio contro Israele (esistono centinaia di fonti al riguardo). L’incitamento alla violenza è pane quotidiano nelle famiglie e nelle scuole, che addirittura organizzano seminari estivi per insegnare ai ragazzi l’uso delle armi e le tecniche d’assalto. Nelle file dei cosiddetti “miliziani” di Hamas figurano in gran numero ragazzini di 16 e 17 anni, che a loro volta incoraggiano altri coetanei cercando di reclutarli o di terrorizzarli. L’indottrinamento anti-israeliano e l’esaltazione del martirio partono dall’asilo in cui si mettono in scena sequestri di militari israeliani, mentre succede di tutto nei campi organizzati dal movimento integralista che controlla la Striscia. E se l’uso del termine “bambino” per noi occidentali richiama alla mente un giovane virgulto che si è appena affacciato alla vita bisognoso di protezione, nel caso degli arrestati questa descrizione non corrisponde al vero. A titolo esemplificativo, uno dei “bambini” considerati anagraficamente tali è Hakim Mazen Awad, responsabile dello sgozzamento di una neonata di 3 mesi, un bambino di 3 anni e uno di 11, insieme ad altri due adulti nella strage di Itamar, trovati nel Marzo del 2011 nei loro letti in un lago di sangue dall’unica sopravvissuta di 12 anni. La verità piuttosto è quella descritta nelle parole di un documento di Amnesty International che denuncia come i gruppi armati palestinesi abbiano ripetutamente mostrato un totale disprezzo per i diritti umani più fondamentali, in particolare il diritto alla vita, prendendo deliberatamente di mira i civili israeliani e utilizzando bambini palestinesi in attacchi armati. Proprio i bambini sono suscettibili di reclutamento attraverso la manipolazione e possono essere spinti a unirsi a gruppi armati per una serie di motivi, tra cui il desiderio di vendicare parenti o amici.
Anche parlare di “sassi” è improprio. Prima di tutto molti degli arrestati con i sassi non hanno niente a che vedere. Hussam Abdo a soli 15 anni, si è presentato ad un check point imbottito di tritolo per farsi saltare in aria con le guardie di confine. L’immagine del bambino, spogliato dell’ordigno esplosivo e circondato dai soldati che gli hanno salvato la vita, viene addirittura usata come immagine per fomentare l’odio anti-israeliano. I “sassi” non sono quelli ad uso dei fotografi che ritraggono bambini con un mucchietto di ghiaia in mano, ma sono pietre e rocce che vengono scagliate contro le auto in corsa con l’obiettivo di uccidere. L’anno scorso a San Cesareo in Italia è stato arrestato un tizio che gettava dei sampietrini da un cavalcavia, qualcuno spieghi dunque alla stampa di mezzo mondo perché agli israeliani la prerogativa dell’arresto non dovrebbe essere concessa, quando questi attacchi fanno morti e feriti giornalmente. In Israele la cronaca annovera recentemente una bimba di 2 anni finita fuori strada e rimasta incastrata nelle lamiere con la mamma dopo che la loro auto era stata attaccata dai lanciatori di pietre. Sorprendersi che questi minorenni possano rappresentare una minaccia seria e meritevole dell’arresto è grottesco, quando i gruppi armati non fanno differenza tra adulti e minori e anzi hanno una particolare predilezione proprio per i secondi: confidano che non vengano percepiti come una minaccia dai soldati israeliani e con l’effetto collaterale che in caso di morte o di arresto possono essere utilizzati come arma mediatica.
Sono piuttosto i palestinesi di Hamas o di altri clan ad impegnarsi esattamente al contrario, nell’indifferenza generale, tranne quando è Israele ad “abusare” di loro, arrestandoli. I veri mandanti al caldo delle loro case non si fanno scrupoli a mandare allo sbaraglio in propri figli a provocare i soldati, sperando in una reazione nervosa, in un attimo di perdita di controllo che permetta di scattare l’implacabile foto che inchioda, come in questo caso. In questo filmato – in cui compare di nuovo la famosa bambina bionda ribattezzata “Shirley Temper” la provocatrice pluripremiata dall’ANP – morde alla mano un soldato, in altri filmati lei ed altri bambini dello stesso clan Tamimi vengono spinti addosso ai soldati per farsi ritrarre dai fotografi. Quale mamma degna di questo nome si comporterebbe così con un figlio che ama? I piccoli ribelli fanno tenerezza e magari se sono fortunati fanno anche qualche morto.
Si tratta dell’ultimo atto della strategia dei dirigenti palestinesi, che nell’impossibilità di ottenere qualcosa con la lotta armata o attraverso la negoziazione, provoca trappole mediatiche per portare Israele davanti ai tribunali. Una commedia costruita ad arte, nella quale l’unico commento sensato dovrebbe essere quello di valutare se le regole d’ingaggio dell’IDF siano adeguate in questo contesto o debbano essere ulteriormente riviste. Ma l’occidente colpito al cuore ci è cascato di nuovo con tutte le scarpe.