Sempre di Shabbat. Sempre a Gerusalemme. Sempre nella capitale d’Israele.
Il terrorismo palestinese è tornato a compiere un attentato contro lo Stato ebraico, a due settimane esatte dall’ultimo, datato 27 gennaio, in cui furono uccisi sette persone.
Nella serata di venerdì scorso, infatti, un terrorista palestinese di 31 anni si è lanciato con la sua auto contro alcune persone riunite a una fermata dell’autobus nel quartiere di Ramot a Gerusalemme, causando la morte di Yaakov Israel Paley e Asher Menachem Paley, due fratellini di 6 e 8 anni, e quella di Alter Shlomo Liderman, studente di una scuola religiosa, sposatosi di recente e deceduto in ospedale per le ferite riportate.
Ci sono altri 4 feriti, tra cui padre dei bambini assieme a un terzo fratello, che sono ricoverati allo Shaare Zedek Medical Center.
Questa attentato è la fotografia dell’odio palestinese contro Israele.
Colpire nel giorno sacro, farlo in un quartiere della capitale abitato prevalentemente da ortodossi e uccidere in maniera indiscriminata.
Perché non importa chi siano le vittime, l’importante per il terrorismo palestinese è uccidere gli israeliani.
Perché l’obiettivo non è un personaggio specifico, visto come il “nemico da abbattere”, ma una folla di persone sconosciute, cui dare la morte.
Perché importa seminare il terrore, in qualsiasi parte d’Israele e in qualsiasi momento.
Come spesso accade, quando si verifica un attentato, dolcetti sono stati distribuiti per le strade di Gaza City e i leader palestinesi hanno glorificato l’attentatore.
Hazem Kassem, portavoce di Hamas ha detto:
“L’azione eroica a Gerusalemme è una risposta naturale a tutti i crimini dell’occupazione contro il popolo palestinese”.
Le Brigate dei martiri di Al Aqsa hanno fatto eco:
“Accogliamo con favore l’operazione Gerusalemme occupata e la consideriamo una risposta naturale ai crimini dell’occupazione contro il nostro popolo ovunque, e confermiamo che la resistenza continuerà la sua attività finché l’occupazione rimarrà sulla nostra terra e profanerà la nostra santità”.
Perché quando Israele piange, i palestinesi fanno festa.