Il 17 agosto scorso l’Europa è ripiombata nell’incubo del terrorismo islamico. L’attentato che ha colpito Barcellona ha fatto risuonare ancora una volta l’allarme per lo jihadismo che non smette di seminare terrore e morte nelle nostre città. A differenza degli attentati in Germania, Francia e Inghilterra nei primo mesi dell’anno in corso, quelli in Spagna non sono stati realizzati da lupi solitari ma da un gruppo ben organizzato, guidato da Es Satty, morto il giorno precedente all’attentato a Alcanar, il covo dei terroristi, a causa di un’esplosione che ha cambiato i piani. Secondo le ricostruzioni, infatti, l’obiettivo della cellula di Es Satty non erano le Ramblas ma la Sagrada Familia e i monumenti circostanti (con conseguenze molto più gravi).
Chi era Es Satty? E come mai è scampato ai controlli di tutte le polizie occidentali?
La vita dell’imam e ideologo degli attentati di Barcellona e Cambrils può essere divisa in due. Una parte più lunga dove sembra esser entrato in contatto con alcuni membri di Al Qaeda autori degli attentati a Nassiriya nel 2003 e a Madrid nel 2004 e si sarebbe radicalizzato in carcere e un’altra parte più breve, vissuta in clandestinità seguendo regole di comportamento più vicine ad Al Qaeda che all’Isis per non entrare nei radar delle intelligence.
Regole che aveva insegnato ai suoi “discepoli”, che non hanno mai destato sospetto né nei vicini (convinti che in casa giocassero solo alla playstation e fumassero spinelli) né nella polizia. Queste linee guida hanno permesso a Es Satty di ideare e progettare l’attacco a Barcellona per quasi un anno. Ad Alcanar, infatti, è stato trovato un vademecum in cui era scritto tutto quello che si doveva fare per non attirare l’attenzione su di sé.
Ed è questo a spaventare di più: la capacità dei terroristi di sembrare persone “normali” e non pronte a uccidere più persone possibile.