Arpad Weisz, dallo scudetto all’inferno di Auschwitz

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David Spagnoletto
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Storia

Arpad Weisz, dallo scudetto all’inferno di Auschwitz

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David Spagnoletto

 

Un grande sportivo dimenticato. Almeno fino a quando un altrettanto grande giornalista non gli ha dedicato un libro, frutto di una ricerca di tre anni.

Il grande sportivo è un ebreo ungherese, Arpad Weisz, calciatore ma soprattutto un eccellente allenatore che ha rivoluzionato il calcio italiano negli Anni 30 alla guida di Inter e Bologna e che, costretto dalle leggi razziali emanate da Mussolini, dovette fuggire dall’Italia e dopo un lungo girovagare venne deportato nell’inferno di Auschwitz, dove la mattina del 31 gennaio ’44 una camera gas nazista mise fine alla sua vita.

Il grande giornalista è Matteo Marani che con il meraviglioso libro “Dallo scudetto ad Auschwitz” del 2007 ha tolto dall’oblio nel quale era finito Arpad Weisz, il mister più giovane (34 anni) a vincere uno scudetto nel nostro paese e il primo ad aggiudicarsi il torneo a girone unico, il calcio italiano come lo conosciamo oggi.

Era la stagione 1929-30. Otto anni dopo tutto cambiò per Arpad Weisz e la sua famiglia, costretti a scappare da un paese all’altro per fuggire dalla malvagità nazista, che due anni prima di ucciderlo si portò via sua moglie Elena e i suoi figli Roberto e Clara, 12 e 8 anni.

Lo scorso martedì al Teatro Dal Verme di Milano si è svolta la proiezione di documentario a lui dedicato “Arpad Weisz, dallo scudetto ad Auschwitz“, realizzato dal giornalista Federico Buffa, organizzato da Sky e della Comunità ebraica alla presenza di Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano; Federico Ferri, Direttore di Sky Sport; Matteo Marani, già direttore Guerin Sportivo, Alessandro Costacurta e Giuseppe Bergomi, rispettivamente bandiere di Milan e Inter e  ora opinionisti di Sky Sport.

La vicenda di Arpad Weisz è esemplificativa di come a volte un personaggio pubblico venga dimenticato. E pensare che neanche Enzo Biagi, bolognese e tifoso del Bologna, ne sapesse molto poco: “Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito”.

È finito male, molto male. In una mattina di un tempo vicino, quando essere ebrei era una colpa da pagare con la vita.

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