Lo Yemen è sprofondato nel caos più totale e crescono i segni di un possibile intervento armato, guidato dall’Arabia Saudita, nel piccolo stato costiero della Penisola Araba. Lunedì il Ministro degli Esteri saudita al-Faisal ha parlato in una conferenza stampa insieme alla sua controparte britannica avvertendo che se lo stato di anarchia in Yemen non terminerà pacificamente gli Stati del Golfo prenderanno le “necessarie misure” per proteggere la regione dall’aggressione degli Houthi, le milizie sciite supportate dall’Iran. Inoltre ieri notte è stato annunciato dalla tv di Stato lo spostamento di alcuni contingenti militari vicino al confine fra i due paesi.
Nella sua conferenza stampa al-Faisal ha duramente attaccato l’Iran per la sua politica di espansione in Medio Oriente e per il programma nucleare, rimarcando che si tratta di una minaccia a cui l’Arabia Saudita risponderà adeguatamente. Molti commentatori della regione hanno interpretato queste parole come un avvertimento di una possibile guerra in Yemen da parte dei sauditi. Alla luce delle ultime notizie che arrivano da Sana’a, con il Presidente Abed-Rabbo Mansour Hadi costretto a fuggire dalla capitale per rifugiarsi nella città costiera di Aden e che ha esplicitamente chiesto al Consiglio di Sicurezza ONU e al Consiglio di Cooperazione del Golfo di intervenire nel paese per fermare l’avanzata delle milizie Houthi, una internazionalizzazione della guerra civile in corso sembra ancora più possibile.
Il Ministro degli Esteri yemenita, Riad Yassin, ha confermato alla tv al-Jazeera che sono in corso negoziati per una possibile operazione di alcuni Stati della Penisola Araba ma non ha voluto specificare su cosa vertono questi negoziati e quando le forze di terra saranno operative. Anche il quotidiano al-Quds al-Arabi conferma che i vertici del regime saudita sono al lavoro per ottenere il consenso di tutti gli Stati del Golfo per un’azione militare che preservi il governo di Hadi la cui legittimità costituzionale è messa ora a dura prova dall’avanzata su Sana’a. La televisione dei ribelli Houthi, al-Masirah, ha inoltre annunciato che il Ministro della Difesa è stato arrestato e che la base aerea di al-Annad, famosa per essere utilizzata dagli USA per condurre attacchi con i droni nei confronti di al-Qaeda, è ora sotto il loro controllo.
Nel frattempo l’Arabia Saudita mostra i muscoli: il Ministro della Difesa ha visitato il confine Sud del regno insieme ad alcuni importanti funzionari dell’esercito. La comunità internazionale sta cercando in ogni modo di mediare fra i sostenitori del Presidente Hadi e i ribelli Houthi ma sembra che gli ultimi non siano minimamente interessati ad un dialogo.
Nulla è ancora definitivo e probabilmente i sauditi penseranno bene alle conseguenze di un intervento militare. Se da una parte non accettano la possibilità di vedere gli iraniani rovesciare un paese alleato, la lezione degli anni ’60 impartita agli egiziani costituisce un precedente non trascurabile. Durante l’era Nasser infatti l’Egitto provò a intromettersi nella guerra civile yemenita uscendone fuori con le ossa rotte. Inoltre scontrarsi direttamente nel cortile di casa con gli iraniani in questo momento è un’opzione a cui pensare con molta cautela. In ogni caso qualsiasi azione sarà legata alla Peninsula Shield Force, una forza militare creata da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrein e Oman nel 1984 per la difesa da nemici esterni e usata nel 2011 per sopprimere una rivolta sciita finanziata e supportata dall’Iran in Bahrein. La Shield Force comprende circa trentamila soldati ed ha dimostrato la sua preparazione proprio in occasione della rivolta in Bahrein, sedata in pochi giorni nonostante nel paese gli sciiti costituiscono la maggioranza della popolazione.
Il Presidente Hadi interverrà sabato al summit della Lega Araba al Cairo, da Teheran ascolteranno con attenzione cosa vorrà dire agli altri leader del mondo musulmano. Alcuni media locali fanno sapere che il Presidente non rientrerà in patria dopo il summit e si dirigerà verso il piccolo Stato africano di Gibuti: la guerra in Yemen è davvero così vicina?