Esporre la foto di Benito Mussolini in un locale pubblico non è apologia di fascismo. A stabilirlo sono stati i giudici del tribunale del Riesame di Ragusa.
L’immagine del Duce era stata sequestrata dai carabinieri dopo la segnalazione di una ragazza, che entrata in un esercizio commerciale l’aveva vista appesa e accompagnata dalla scritta: “Non ho paura del nemico che mi attacca ma del falso amico che mi abbraccia”.
Il titolare dell’esercizio commerciale di Modica, che ha riavuto la foto, ha sempre dichiarato di non aver alcuna nostalgia per il Ventennio e di aver esposto l’immagine perché d’accordo con la frase:
“Non ho tempo per pensare a queste cose. Non parteggio per nessuno. E di Mussolini so solo quello che mio nonno mi raccontava quando ero bambino. Semplicemente perché mi era piaciuta. Mi sembra una frase come tante”.
Secondo i giudici, quindi, l’esposizione della foto incriminata rientra nella libera manifestazione del pensiero, discutibile ma tutelato da un principio costituzionale e non è sufficiente per ipotizzare la ricostituzione del partito fascista.
Allora cosa costruisce il reato di apologia di fascismo?
Fare il saluto romano? No, perché un calciatore è stato assolto per averlo fatto a Marzabotto. Nemmeno alzare il braccio destro a un funerale.
Esporre una foto di Mussolini? Nemmeno.
Occorre aspettare di cogliere in flagrante un gruppo di persone nell’esatto momento in cui si riunisce e grida “vogliamo ricostruire il partito fascista”?