Antisemitismo e terrorismo. Bisogna sentire il lutto della terribile strage di Pittsburgh per quel che è stata, per ognuna delle 11 vittime, che sono state vilmente uccise mentre erano in preghiera (ne faccio qui i nomi, perché è importante contrastare la massificazione genocida: Joyce Feinberg 75 anni; Richard Gottfried 65 anni; Rose Malinger 97 anni; Jerry Rabonowitz di 66 anni; Cecil Rosenthal 59 anni; David Rosenthal 54 anni; Bernice Simon 84 anni; Sylvan Simon 86 anni; Daniel Stein 71 anni; Melvin Wax 88 anni; e Irving Youngner 69 anni) per i feriti, per i traumatizzati, per quel neonato il cui ingresso rituale nel mondo è stato insanguinato dall’assassino.
Ma purtroppo non deve, non può essere isolata dagli altri atti di terrorismo che continuamente prendono di mira gli ebrei nel mondo, dall’accoltellamento che è avvenuto a Parigi due giorni dopo Pittsburgh al missile proveniente da Gaza che ha centrato una casa a Beer Sheva la settimana scorsa. Purtroppo questi episodi non si possono distaccare dall’incitamento e dalla propaganda antisemita che circola largamente in Europa, nel mondo arabo e nel resto del mondo. Le inchieste mostrano che in Germania ci sono stati 947 atti antisemiti nel 2017, un aumento del 55 per cento rispetto al 2016, che il 51 per cento dei polacchi non vuole che la propria figlia sposi un ebreo, che nel 2017 c’è stato un aumento del 78% degli episodi di violenza fisica contro gli ebrei nel Regno Unito e un aumento del 30% di tutti gli altri incidenti antisemiti nel paese, che a maggio 2017, il Centro ricerche PEW negli Stati Uniti, ha condotto uno studio su 2000 residenti in 18 paesi dell’Europa centrale e orientale. Lo studio ha rilevato che il 20% degli intervistati non vuole ebrei nel proprio paese e il 30% non vuole ebrei come vicini. Inoltre, il 22% dei cittadini rumeni e il 18% dei cittadini polacchi sono interessati a negare il diritto degli ebrei alla cittadinanza nel loro paese; la Grecia che registra un 69% di opinioni negative nei confronti degli ebrei; in Francia, che è il Paese con la maggiore concentrazione di ebrei nel continente, il 37% degli intervistati ha espresso opinioni antisemite. In Germania invece la percentuale è del 27%.
Ben più alte, ma non stupisce, le percentuali di antisemiti in Medio Oriente: 69% in Turchia (71% nel 2015), 75% in Egitto, 74% in Arabia Saudita, 78% Libano, 81% Giordania, 82% Kuwait, 88% Yemen, addirittura 92% Iraq. Non stupisce il dato altissimo (93%) registrato nella striscia di Gaza e nei territori dell’Autorità Palestinese. La Russia registra un 30% (calato al 23% nel 2015), il Giappone il 23%, la Cina il 20%.
Si potrebbe continuare a lungo con questi dati. La cosa da sottolineare è che dai tempi di Hitler, anzi in fondo da quelli delle prime persecuzioni sistematiche della chiesa e delle espulsioni di massa (Inghilterra 1290, Spagna ma anche Sicilia 1492, Francia 1306, Portogallo 1496, Italia meridional 1510 ecc.), non si tratta di generica ostilità, che sfocia accidentalmente in violenza, ma di un progetto di eliminazione. Del testo l’attentatore di Pittsburgh gridava esattamente questo: “Tutti gli ebrei devono morire”.
Essendo abituati a vivere in condizioni di minoranza e a far fronte all’ostilità antisemita ed essendo formati in una cultura della vita e dell’ottimismo, appena possibile gli ebrei tendono a ignorare il clima di pregiudizio che incontrano e a pensare che dove sono insediati e in genere apprezzati dai vicini per il loro lavoro e la loro creatività, l’antisemitismo omicida non sia un rischio imminente. E spesso hanno ragione per anni, decenni, generazioni, fino a che l’ “odio antico” non riemerge. E’ successo così in Francia nell’Ottocento, in Germania fino agli anni Venti del secolo scorso, perfino in Italia durante il fascismo. Ma prima o poi, con un pretesto o con l’altro (la religione o la razza, l’usura o la Palestina) l’antisemitismo riemerge.
Come capì Theodor Herzl, la risposta è lo stato ebraico. Non perché esso elimini l’odio, dato che anzi lo focalizza contro di sé, perché l’antisionismo non è altro che antisemitismo diretto contro Israele. Ma perché consente di difendersi e prende sotto la sua protezione anche gli ebrei della diaspora, nella misura in cui ciò è possibile. Oggi, nonostante tutto il terrorismo, Israele è il luogo più sicuro per gli ebrei. Per questo noi ebrei che per mille ragioni restiamo attaccati alle nazioni che hanno ospitato le nostre comunità per secoli e millenni e non troviamo il modo, il coraggio, la possibilità di unirci alla maggioranza del popolo ebraico che vive nel suo stato, dobbiamo cercare di far quel che si può per prevenire gli attacchi antisemiti. Ma ancor più abbiamo l’obbligo di difendere e sostenere Israele che è la garanzia della vita e dell’identità del nostro popolo. Dopo Pittsburgh, dopo una strage nel cuore dello stato che per molti è stato il rifugio e la sicurezza, questa consapevolezza dev’essere ancora più chiara.