Il documento della IAEA, rilasciato dall’Agenzia viennese il 2 Dicembre che, lo ricordiamo, è composta da rappresentanti di 167 Paesi, è molto importante riguardo alla natura del nucleare iraniano. Il problema del sistema nucleare iraniano, anche dopo l’accordo JCPOA del p5+1, è il collegamento tra passato e presente, oltre che al nesso tra visibile e invisibile, tra i siti nucleari aperti agli ispettori e quelli chiusi, data la loro caratteristica militare, che anche l’accordo P5+1 riconosce.
Il report dell’Agenzia viennese certifica che Teheran ha mantenuto un programma coordinato di applicazioni militari dell’energia atomica almeno dal 2003 in poi; mentre almeno dal 2009 gli scienziati iraniani si occupavano di computer design per i componenti di una bomba ad implosione. Nelle armi ad implosione, per essere un po’ più chiari, vi è, al centro dell’ordigno, una “sfera esplosiva” di 15-18 chilogrammi, di materiale fissionabile, di solito uranio weapon grade, ed intorno a questo nucleo viene posta una superficie di uranio naturale, per favorire l’esplosione e, infine, una ulteriore superficie di acciaio rinforzato per evitare che la sfera esplosiva deflagri immediatamente. Il nucleo interno è circondato da una serie di esplosivi ad alto potenziale i quali, detonati simultaneamente, fanno implodere il materiale fissile ad altissima pressione. La massa del nucleo si rimpicciolisce e si addensa, e a questo punto vengono iniettati dei neutroni che danno inizio alla reazione a catena. Il sistema, a questo punto, raggiunge, per usare il gergo dei fisici nucleari, la “supercriticalità”.
A Parchin, peraltro, la IAEA aveva già notato, all’inizio del 2015, attività correlabili ad un uso militare delle tecnologie nucleari, ed infatti l’Agenzi viennese aveva cercato e ottenuto un “accordo separato” per il sito iraniano, tra i più grandi e antichi del sistema atomico di Teheran. Inoltre, l’Iran ha continuato a sviluppare una sua tecnologia per i detonatori nucleari EBW, che sono dei mezzi di accensione delle bombe nucleari in cui lo scoppio iniziale viene generato da una corrente elettrica che passa nel filo interno del detonatore stesso. Inoltre, il regime sciita iraniano ha dato inizio, nel 2014, ad esperimenti sulla multipoint initiation MPI, una tecnologia per dare inizio alla reazione nucleare a catena in un’area emisferica. Una tecnologia, quella MPI, che è utile sia per i missili che per l’arma nucleare.
E ancora, l’Iran ha sviluppato esperimenti, almeno dal 2011, riguardanti componenti dell’arma atomica ad altissima densità, con la relativa sperimentazione idrodinamica della simmetria della deflagrazione. Sempre nel 2011 l’Iran sperimenta un “neutron initiator”, ovvero una fonte di neutroni attivabile a comando. Normalmente l’iniziatore di neutroni viene posto al centro della massa del plutonio, anch’essa al centro della bomba, e viene attivato dall’onda d’urto dell’esplosione che comprime il nucleo fissile.
Se però passa e viene accettata la strategia di Teheran nella gestione delle trattative e del suo sistema nucleare civile-militare, allora molti Paesi saranno tentati, soprattutto nelle aree “calde” del globo, di utilizzare la stessa strategia iraniana: prima costruire i siti nucleari, poi rifiutare a lungo e infine accettare una mediazione internazionale che, come il P5+1, accetta la sovranità nazionale sui laboratori e sulle basi atomiche di quel paese. Pensiamo a cosa accadrebbe se l’Arabia Saudita, competitore geostrategico ormai globale dell’area sciita dominata dall’Iran, facesse lo stesso, con Riyadh che chiede un trattamento similare e quello preteso e ottenuto da Teheran. Un hedging nucleare molto simile, nella sua struttura, a quello tipico degli hedge funds in finanza.
E’ ormai certo che, proprio grazie alle dichiarazioni del governo sciita, le caratteristiche semplicemente “civili” della rete nucleare iraniana sono una copertura, ovvero una forma di “latenza” del programma atomico. Ad Aprile 2015 le centrifughe operanti in Iran erano oltre 19.000, che producono almeno il 42% in più dell’energia che occorrerebbe a quel Paese da utilizzare solo per finalità civili. Inoltre, il Paese sciita ha chiesto alla IAEA il permesso, indicando i siti preferiti, per costruire altre 16 centrali nucleari nuove di zecca.
Tutto per far crescere meglio i pomodori, come appariva anni fa, in un servizio da Parchin, alla TV iraniana? E tutti i nuovi reattori saranno costruiti da Mosca e alimentati da materiale russo.
L’interesse del sistema post-sovietico per il nucleare iraniano è strategicamente evidente: tramite questa rete di armi e reattori, Mosca sigilla la sua minaccia strategica sia contro la NATO che, soprattutto, contro le potenze regionali non alleate alla Russia nel quadrante dello Shatt-el-Arab. La rete nucleare consente poi a Mosca di rendere efficace la minaccia su tutte le linee di trasporto petrolifere e gaziere che vanno verso la Turchia e l’Europa meridionale, mentre il governo russo conclude a sud, con un sistema nucleare “amico” e controllato, la rete missilistica diretta verso l’Europa che va da Kaliningrad fino all’Armenia e all’Azerbaigian.
La NATO, con la sua esercitazione Trident Juncture 2015, la più grande dal 2002, messa in atto da Settembre fino agli inizi del Novembre scorso, ha in parte risposto a questo problema strategico. Le operazioni di Trident Juncture riguardavano l’Africa e il tema era una disputa per i confini marini, oltre che una serie di esercitazioni antiterrorismo. Ma la questione è che, con l’abbandono da parte degli USA del Grande Medio Oriente e la ridicola impotenza europea, la sostanziale accettazione del nucleare iraniano potrebbe essere equipollente alla simultanea accettazione del ruolo primario della Russia nello scacchiere siro-iracheno. Se questo, come temo, avverrà, allora una serie di Paesi mediterranei e non della UE dovrà riconsiderare la propria politica riguardo all’armamento nucleare, oppure gestire, come ha fatto la Federazione Russa, il rifornimento e la progettazione di centrali nucleari dual use in Paesi amici e ben strategicamente posizionati.