Nei giorni scorsi Amnesty International ha accusato l’esercito israeliano di aver condotto alcune “uccisioni illegali” usando “forza letale senza giustificazione”. Questa dichiarazione si riferisce ad alcuni episodi avvenuti in West Bank e a Gerusalemme Est in cui secondo l’organizzazione 4 palestinesi sarebbero stati uccisi sebbene non costituissero nessun pericolo. Il direttore della sezione Medio Oriente della ONG per i diritti umani, Philip Luther è arrivato addirittura ad affermare che i soldati dell’IDF avrebbero posizionato coltelli nelle mani delle persone successivamente alla loro uccisione.
Si tratta dell’ennesima inversione di responsabilità da parte di Amnesty che, come al solito quando si tratta di Israele, basa le sue ricerche su bugie conclamate. Emblematico di questa vicenda è il rapporto sulla morte di Sa’ad Muhammad Youssef al-Atrash a Hebron in cui una fantomatica testimone oculare racconta che il ragazzo di 19 anni è stato colpito a morte con un’arma da fuoco dopo aver estratto i suoi documenti come richiesto dai soldati con quest’ultimi che avrebbero messo un coltello in mano alla vittima mentre moriva dissanguato. Il blog Elder of Ziyon ha smentito il racconto della testimone attraverso una ricerca condotta sulla pagina Facebook del ragazzo prima che questa venisse rimossa dal social media.
Ancor più grave è il linguaggio con cui l’organizzazione tenta di sollevare da qualsiasi responsabilità gli attentatori. Con un linguaggio simile a quello usato nei titoli di molti media internazionali vengono confusi attentatori e vittime, anzi nella maggior parte dei casi non c’è nessun riferimento a chi abbia cercato per primo di uccidere. Grazie a questo modo di esprimersi il lettore non sa mai da chi o da cosa Israele si sta difendendo ed è portato a credere che gli accoltellamenti siano una diretta conseguenza dei comportamenti dell’esercito rimuovendo qualsiasi colpa dal lato palestinese. Inoltre le dichiarazioni dell’esercito vengono sempre riportate con verbi al condizionale in modo che nel lettore si instilli il dubbio che la reazione israeliana sia frutto di una paranoia mentre gli attentati terroristici vengono chiamati “escalation di tensioni” invertendo così il principio di causa-effetto.
Nonostante ci siano stati solo nell’ultimo mese 48 accoltellamenti, 5 tentativi di uccisione con automobile e 5 sparatorie che hanno portato alla morte di 11 israeliani, questi ultimi per Amnesty non meritano di essere menzionati nel rapporto pubblicato qualche giorno fa. Senza contare poi i 132 feriti e le 72 persone con disturbi da stress post-traumatico. Queste persone non meritano protezione come i bambini di Gaza che secondo Amnesty non si riprenderanno mai dagli shock causati dai bombardamenti? No, per Amnesty International non solo non contano ma non valgono nemmeno come numero statistico.
Questo tipo di manipolazione non solo fornisce un’implicita giustificazione all’ondata di terrorismo palestinese, mostra anche un certo disprezzo per il sacrosanto diritto/obbligo di ogni Stato a difendere i suoi cittadini. L’accusa non regge nemmeno sotto il punto di vista morale dato che ogni terrorista ferito viene sistematicamente curato negli ospedali israeliani a spese dei contribuenti che loro stessi vorrebbero uccidere.
Il responsabile di questa ricerca è Jacob Burns, l’uomo che già aveva dimostrato il suo pregiudizio anti-israeliano con “Piattaforma Gaza” dove sosteneva che centinaia di terroristi uccisi da Israele durante la guerra a Gaza erano in realtà civili innocenti senza fornire prove inconfutabili. Già questo di per sé dovrebbe bastare a qualificare l’integrità degli uomini di Amnesty in West Bank.
Non è la prima volta che Amnesty contribuisce alla formazione della menzogna secondo cui gli israeliani sarebbero degli esseri disumani assetati di sangue. Tutto questo rende un buon servizio alla propaganda palestinese che vorrebbe dipingere Israele come l’aggressore e i palestinesi come vittime innocenti. L’obiettivo? Una battaglia in nome dei diritti umani. Se questo sia vero o no non spetta a noi dirlo ma di sicuro non si tratta di una battaglia in nome della verità.