Nei secoli, il fenomeno dell’antisemitismo ha assunto forme diverse (religiose, razziali, politiche), viaggiando attraverso tutti i canali di volta in volta disponibili – dalle narrazioni orali e scritte ai mezzi di comunicazione di massa. Oggi questo odio trova un nuovo terreno fertile nei social network, i quali permettono a chiunque di relazionarsi con estrema facilità e di ottenere in pochissimo tempo una diffusione potenzialmente infinita.
Cos’è l’antisemitismo
Per circoscrivere l’antisemitismo, occorre prima di tutto dare una definizione al fenomeno. Su questo, diverse autorevoli voci ne hanno dato una propria ma, a oggi, ne manca una univoca.
L’Osservatorio Antisemitismo (dipartimento del CDEC – Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) definisce il fenomeno come «un sentimento, una teorizzazione o un comportamento di avversione, disprezzo, discriminazione o persecuzione contro gli ebrei. In alcuni casi è violento, come nella Shoah. L’antisemitismo è sempre basato su stereotipi e pregiudizi, ossia sull’assegnazione a tutti gli ebrei di caratteristiche uguali».
Al fine di stabilire una base comune alla quale poter fare riferimento, l’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) – una delle più autorevoli istituzioni in materia – ha proposto ai 31 Paesi che fanno parte dell’organizzazione una definizione più complessa, che comprende come comportamenti considerati antisemiti le seguenti voci: invocare, favorire, giustificare l’uccisione o la violenza contro gli ebrei in nome di un’ideologia radicale o di una visione estremista della religione; fare accuse mendaci, demonizzanti o stereotipate contro gli ebrei in quanto tali o contro il potere degli ebrei come collettivo – come, in particolare, il mito della cospirazione ebraica mondiale o del controllo ebraico dei media, dell’economia, del governo o di altre istituzioni sociali; accusare gli ebrei in quanto popolo, o Israele come Stato, di aver inventato o esagerato la Shoah; negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele sia una impresa razzista; fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti.
Come dichiarò il primo vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans: “Non possiamo impegnarci in una lotta comune senza una definizione comune di ciò contro cui stiamo combattendo. Gli Stati membri sono quindi chiamati ad adottare la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance come punto di riferimento. Ciò rappresenterebbe un passo importante”. Purtroppo, ancora oggi, occorre rilevare che l’Italia non ha adottato come ufficiale tale definizione.
L’antisemitismo sui social media
Nell’epoca dei populismi, dei suprematismi e delle fake news, e in uno scenario in cui Internet è diventato per le masse la fonte primaria per l’aggregazione del consenso e della formazione del pensiero comune, l’antisemitismo corre sempre più veloce.
I contenuti che circolano sulla rete oggi sono simili a quelli di un tempo: si sono semplicemente evoluti in base alla piattaforma con la quale le persone oggi li pubblicano e condividono – in un processo che, però, da verticale è diventato partecipativo e orizzontale.
Tesi complottiste di matrice anche antisemita come ad esempio il supposto “Piano Kalergi” un tempo viaggiano di persona a persona attraverso suadenti e pericolose parole sussurate nelle orecchie degli europei mentre oggi troviamo sedicenti esperti che ci illustrano i pericoli che la nostra società sta correndo attraverso video su Youtube accompagnati da infografiche animate e musiche persuasive.
L’ampiezza del fenomeno, inoltre, tende a crescere anche a causa del fenomeno chiamato “Echo Chamber” – un effetto collaterale degli “algoritmi” dei social media, che genera uno stato di isolamento ideologico degli individui. All’interno di queste “camere dell’eco”, l’utente fruisce e visualizza di fatto soltanto notizie con una natura confermativa delle proprie posizioni, rafforzando così le proprie convinzioni e senza avere la possibilità di uscire da questo circolo vizioso. Facendo un parallelo con la scienza medica, il risultato di una Echo Chamber è il medesimo di una malattia che si autoalimenta.
Nel tempo, l’antisemitismo sui social ha avuto dei trend sempre in crescita, fino a raggiungere dei veri picchi esponenziali negli ultimi 5 anni. Diventa quindi indispensabile dotarsi di strumenti adeguati per analizzare la mole di conversazioni social dal contenuto potenzialmente antisemita, xenofobo e razzista.
Precedenti studi
Nel 2016 il World Jewish Congress ha elaborato e pubblicato uno studio sul fenomeno dell’antisemitismo sui social media a livello internazionale. Nel report prodotto, sviluppato attraverso la piattaforma di social listening TalkWalker, vennero raccolte 382.000 menzioni di chiaro stampo antisemita (2.700 in Italia) secondo la definizione dell’IHRA, di cui – realmente – fu valutato qualitativamente solo il 2% dei post.
Sempre il World Jewish Congress, l’anno scorso, ha pubblicato un secondo report, diverso da quello dell’anno precedente, “Anti-Semitic Symbols and Holocaust Denial in Social Media Post” che analizzava la simbologia antisemita e la negazione della Shoah sui social media.
Tra le ricerche italiane si segnala quella di VOX, Osservatorio italiano sui diritti, che ha realizzato la “mappa dell’intolleranza”. In sintesi, si trattava di uno studio ibrido tra quanti atti antisemiti avvenivano offline e quante volte venivano citati gli ebrei su Twitter. Il dato che emerse fu di 165.968 tweet sugli ebrei e, di questi, “solo” 8.854 con sentiment negativo nel 2017 e 6.586 nel 2018. Benché sintetizzato in alcune infografiche e seppur contenente informazioni e parametri interessanti, questo studio rimane però vincolato a un limite evidente di perimetro dell’analisi, in quanto sono state monitorate unicamente le conversazioni su Twitter – solo una delle piattaforme in cui l’antisemitismo online prolifera.
Recentemente, l’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali dell’Uomo ha pubblicato un’indagine sull’antisemitismo online attraverso il metodo del sondaggio tradizionale, applicata agli appartenenti alle comunità ebraiche di alcuni Paesi europei – una modalità che, seppur valida a livello teorico, non ha determinato i perimetri del fenomeno. I risultati dell’indagine furono i seguenti:
- L’89% degli ebrei considera l’antisemitismo più problematico su Internet.
- Il 28% è stato oggetto di molestie fisiche o verbali almeno una volta nell’ultimo anno.
- Il 34% preferisce non visitare luoghi o eventi ebraici perché non si sente al sicuro.
- Il 38% ha riflettuto alla possibilità di emigrare e lasciare l’Europa.
- Il 70% ritiene che gli sforzi dei Governi nazionali per combattere l’antisemitismo non sono sufficienti.
Il progetto dell’Osservatorio permanente sull’Antisemitismo di Progetto Dreyfus
Come Progetto Dreyfus, abbiamo quindi identificato l’esigenza di avere una fotografia realistica del fenomeno – ragione per la quale abbiamo intenzione di lanciare un progetto di ricerca per creare un Osservatorio permanente sull’hate speech di tipo antisemita sui social media in Italia. L’indagine si baserà sull’utilizzo di diversi software che “ascolteranno” le conversazioni pubbliche sui social media, basandosi sull’identificazione di un set di parole-chiave inerenti l’argomento e proprie dell’antisemitismo e la catalogazione delle menzioni in cluster, secondo la definizione di “antisemitismo” fornita dall’IHRA.
In sostanza, si tratta di creare un “punto di osservazione” che, partendo dall’analisi delle conversazioni che spontaneamente gli italiani hanno sul tema e che affidano pubblicamente ai social network, possa fornire indicazioni sul “livello di rischio” che la nostra società sta attraversando.
Da un primo “ascolto”, possiamo già dire che il fenomeno sembrerebbe essere stato sottostimato. Abbiamo considerato conversazioni social dal 1 Maggio 2018 al 30 Aprile di quest’anno, rilevando oltre 90.000 tra post e commenti, 73,8% dei quali su Facebook e 26,2% su Twitter. Di questi, circa 57.000 contenevano espressioni inequivocabilmente antisemite, mentre i restanti 33.000 sono collocabili in un’area contenente sia contenuti ambigui, sia critiche ai contenuti antisemiti o di mera cronaca quotidiana.
Sacche di antisemitismo evinte
Dei 57.000 post antisemiti, oltre 41.000 fanno riferimento al complotto ebraico e del ruolo dell’ebreo all’interno della finanza internazionale che governerebbe il mondo, con una grande incidenza di contenuti che riguardano personalità come Soros e della famiglia Rothschild. 12.000 sono i post in cui l’antisionismo assume la forma dell’antisemitismo con post in cui si accusa per esempio gli ebrei di essere colpevoli del presunto genocidio del popolo palestinese. 3.000 sono quelli che contengono insulti, offese dirette o addirittura incitamento alla violenza. 1.300 sono, infine, i post in cui si fa riferimento a tesi negazioniste e revisioniste rispetto alla Shoah.
Oltre alle concentrazioni di volumi registrati nei mesi di Gennaio e Febbraio, periodo vicino al Giorno della Memoria, abbiamo verificato come l’antisemitismo sia molto più profondo e costante nel tempo all’interno della società italiana rispetto a quanto rappresentato nelle altre analisi. Questa informazione la si evince dall’evoluzione dei trend nel tempo e dalla costanza, al di là degli eventi avvenuti offline rispetto alla rete.
Il dato più preoccupante è quello però relativo alle interazioni che gli utenti hanno avuto con questi contenuti: oltre 650.000 tra commenti, like e condivisioni. Come dobbiamo, ad esempio, valutare una condivisione di un post antisemita se non come un ulteriore elemento antisemita di per sé? Al di là di chi origina i contenuti, è questo il vero termometro di quanto certe tesi abbiano effettivamente seguito sulla rete