Francesca Albanese e la dimenticanza del lavoro del marito per l’ANP

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Che l’imparzialità sul conflitto israelopalestinese fosse una qualità sconosciuta a Francesca Albanese è cosa nota, almeno per chi ha avuto la decenza di non girarsi dall’altra parte quando in una conferenza video organizzata da Hamas alla fine del 2022, si è rivolta al gruppo terroristico palestinese “You have a right to resist this occupation”, “Avete il diritto di resistere a questa occupazione”.

Chi non lo sa o è malinformato o finge di non sapere. Il riferimento non è puramente causale, perché chi invita nei salotti televisivi la Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i palestinesi, lo fa a ragion veduta.

Ricordiamolo: i palestinesi sono gli unici al mondo ad avere un’agenzia Onu tutta per sé. E non perché ne abbiano più bisogno di altri, ma solo perché le Nazioni Unite hanno quella predilezione speciale antiebraica, dimostrata anche di recente dal segretario António Guterres che, anziché scagliarsi contro i tagliagola di Hamas, ha puntato il dito contro Israele.

Che l’imparzialità sul conflitto israelopalestinese sia una qualità sconosciuta a Francesca Albanese, adesso devono saperlo tutti.

Nessuno è più giustificato, soprattutto dopo il report dell’ong Un Watch, portato alla conoscenza del grande pubblico dal giornalista Antonino Monteleone, che ha sollevato il caso sull’omissione (volontaria?) di Francesca Albanese, che in merito alla candidatura all’Onu per occupare la sua attuale carica ha tralasciato un “particolare”: suo marito Massimiliano Calì ha lavorato per il ministero dell’economia dell’Autorità Palestinese e per contro di Abu Mazen ha scritto il documento “I costi economici dell’occupazione israeliana per i territori palestinesi occupati”.

Francesca Albanese ha provato a mettere una pezza, divenuta poi più grande del buco:

“Mio marito non è mai stato assunto o pagato dall’Autorità palestinese. MAI. Nel 2011, quando vivevamo a Gerusalemme, ha fatto una consulenza per l’Onu nel territorio palestinese occupato, il cui ruolo prevedeva il rafforzamento di capacità del ministero dell’Economia palestinese”.

È parte della sua risposta arrivata a mezzo social, che però è stata smentita dal suo stesso marito che riguardo sé stesso nel blog della Banca Mondiale di cui è funzionario, ripercorrendo le sue passate esperienze lavorative, si è descritto così (tradotto dall’inglese): “Ha servito come consigliere economico del Ministero palestinese dell’Economia nazionale”.

L’Albanese, a sua volta, ha accusato di parzialità Un Watch, da lei ritenuto un organismo:

“Noto come dileggiatore di qualsiasi voce critica delle politiche di Israele nel territorio palestinese occupato”.

Peccato che Un Watch sia l’unica ong che vanta il diritto di parola all’assemblea generale dell’Onu, proprio dove lavora l’Albanese.

Un’ironia che torna anche sulla presunta e mendace occupazione di Israele. Francesca Albanese, infatti, contesta allo Stato ebraico l’occupazione di chissà quale terra destinata ad Hamas, ma è lei stessa a occupare una posizione all’Onu che, secondo diversi politici, dovrebbe lasciare per aver omesso quello che ai più appare come un conflitto di interessi.

Per la serie: chi controlla il controllore?

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