Giovedì scorso c’è stato un interessante incontro tra gli ideatori, i promotori e i sostenitori in una serata al Centro ebraico Pitigliani per una raccolta fondi a favore di Progetto Dreyfus. Tanta gente è venuta ad ascoltare quello che avevamo da dire in una serata – è bene ricordarlo – non organizzata da noi ma voluta fortemente da amici che ci seguono fin dalla nostra nascita. Non ci siamo tirati indietro, e anzi, abbiamo fatto il massimo per onorare questa fiducia. Negli interventi si è parlato di informazione sui social media, di contro-informazione e abbiamo provato ad illustrare il duro lavoro che abbiamo svolto in 2 anni, senza alcun finanziamento da parte di istituzioni ebraiche, ma con il sostegno economico di pochi, splendidi amici dell’ebraismo e di Israele.
Una serata ‘sperimentale’ rivolta alla comunità degli ebrei di Roma, gli stessi che l’hanno promossa, ma che ci auguriamo presto vedrà una replica in altre città (sono in corso contatti per altre serate a Roma, Milano e Firenze). Come abbiamo sostenuto fino allo sfinimento in ogni occasione, Progetto Dreyfus ambisce ad essere un contenitore in cui possano confluire esperienze diverse, di ogni confessione religiosa, animati da un sincero interesse per le cose ebraiche e il sionismo.
Non ci siamo limitati a raccontare qualcosa di noi – anche se fa sempre piacere vedere chi si nasconde dietro ad un progetto nato sul web – e ad illustrare con immagini e infografiche il nostro lavoro, ma abbiamo provato a stimolare il pubblico spiegando come sia possibile intervenire, diffondere e dare il proprio contributo sui social network e in molte iniziative online con pochi semplici gesti. Nelle intenzioni dei fondatori, Progetto Dreyfus non è solo una paginetta Facebook, un account Twitter solido, un lanciatissimo profilo Instagram e un promettente – benchè acerbissimo – sito internet in cerca di autori. E’ l’esperienza dalla quale sono nate tante battaglie off-line come le contestazioni sulla vicenda Priebke e i sit-in a a sostegno dello stato d’Israele in cui abbiamo realizzato centinaia di cartelli con slogan efficaci fotografati dalla stampa nazionale. “Quelli di Progetto Dreyfus” hanno tirato su in una notte il sito internet dedicato ai 3 ragazzi rapiti l’estate scorsa, ne ha seguito la vicenda e ha distribuito e fotografato i cartelli per la chiusura dei negozi a lutto. Così come gli stessi ideatori di Dreyfus fecero anni fa per Gilat Shalit e a sostegno delle iniziative dell’onorevole Fiamma Nirestein. I nostri ragazzi hanno stampato volantini informativi sulla brigata ebraica il 25 Aprile, e sono stati in grado di mobilitare 2000 persone in una catena whattsapp in una sola notte. Durante l’estate abbiamo collegato un account twitter al celebre Zeva Adom (la sirena d’allarme che in Israele avvisa dell’arrivo di un razzo), per spingere il paese a sentirsi un po’ più vicino ad Israele provando sulla propria pelle la frequenza di tali allarmi. Abbiamo rilasciato interviste, smontato faticosamente decine di immagini che i media nazionali volevano spacciare per scattate nel conflitto che ha opposto Israele ad Hamas e protestato in massa per titoli ed impostazioni di parte. Abbiamo creato un gruppo per la correzioni delle voci sbilanciate che affermano falsità su Wikipedia. Abbiamo registrato centinaia di domini internet per posizionare buona informazione di Israele in alto nei motori di ricerca, lì dove oggi l’opinione si forma.
Ma soprattutto lo abbiamo fatto senza sentirci migliori e senza sostenere alcuna idea politica ed opporre alla violenza delle parole contro Israele altrettanta violenza. Moderiamo i commenti dei nostri stessi sostenitori arrivando a cancellarli perché le parole di odio non siamo in grado non solo di pronunciarle, ma nemmeno di tollerarle. Abbiamo affrontato temi di sinistra e di destra, promosso i diritti umani, difeso le minoranze cristiane e gli armeni, promosso la cooperazione tra arabi ed ebrei, e lo abbiamo fatto in una cornice di profondo amore per l’Italia e per Israele. Un lavoro che non è “contro” qualcuno o qualcosa, che non concorre all’informazione con il resto della stampa ebraica, perché ha diverse finalità e mezzi di espressione. Ecco perché forse a qualcuno non siamo simpatici. Perché come abbiamo avuto modo di dire durante la serata, Progetto Dreyfus è libero. Nessuno può rivendicarne la paternità, perché tanti sono quelli che hanno offerto nel tempo le loro competenze, i loro consigli, il loro appoggio. Una visione pluralista di cui la comunità (in senso ampio e non istituzionale) dovrebbe essere orgogliosa.
Non siamo bravi a chiedere soldi (ed è forse per questo che ne raccogliamo così pochi) e non ci piace raccontare quello che di buono abbiamo fatto in una cornice pubblica con troppa disinvoltura. Anzi: gran parte dell’attenzione l’abbiamo rivolta a cosa potremmo fare se avessimo più mezzi, più volontari, più soldi e più consenso. Molti di noi sono schivi e portarli sul palco è stato difficile, perché preferiscono il lavoro alle chiacchiere in pubblico. Ed è quello che ritorneremo a fare oggi, instancabilmente, con l’aiuto di tutti: far crescere “il progetto” per renderlo sempre più interessante e utile.
La nostra porta è sempre aperta, chiediamo solo pazienza quando non riusciamo a star dietro a tutto quello che ci scrivete in privato. Vedere il lavoro dei nostri ragazzi apprezzato in modo trasversale sarebbe il primo vero successo che Progetto Dreyfus potrebbe rivendicare: contribuire alla formazione di un’opinione più corretta su Israele ed ebraismo con l’auto di tutti. Tutti.
Alex Zarfati – Presidente Progetto Dreyfus