Si accende il confronto tra il governo polacco e le comunità ebraiche internazionali. Il motivo risiede nel disegno di legge presentato dall’esecutivo di Varsavia che, se approvato dal Parlamento, porrà paletti alla restituzione dei beni sequestrati agli ebrei in Polonia dopo l’instaurazione del comunismo e la fondazione della Repubblica popolare di Polonia.

I rappresentanti della World Jewish Restitution Organization, citati dal Jerusalem Post, hanno espresso il proprio disappunto:

“Perché così formulata, se verrà approvata dal Parlamento polacco, la legge escluderà dal diritto alla restituzione o indennizzo la maggioranza dei sopravvissuti all’Olocausto espropriati dai comunisti e dei loro discendenti”.

Vediamo perché. Il disegno di legge prevede che solo gli ebrei attualmente residenti in Polonia e i loro discendenti di primo grado abbiano diritto alla restituzione dei beni e valori espropriati dal vecchio regime.

Questo frenerebbe, se non addirittura renderebbe quasi impossibile, tale restituzione perché dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale i pochi ebrei polacchi rimasti, scampati ai lager, decisero di abbandonare il paese d’origine per cercare fortuna in un altro stato europeo o in Usa e perché la Germania nazista sterminò intere famiglie e quindi in molti casi non ci sarebbero parenti diretti ma solo eredi di secondo e terzo grado.

Altro enorme problema alla base del disegno di legge è che la restituzione sarebbe parziale: solo il 20% del valore che i beni sottratti avevano all’epoca dell’esproprio e non quello attuale. Il rimborso, inoltre, avverrebbe in bond e non in contanti.

Con questo salgono a due gli episodi che in questi giorni hanno fatto salire il governo polacco ai primi posti della cronaca estera: l’altro, la minimizzazione della manifestazione antisemita e razzista in cui hanno partecipato 60 mila persone in occasione della ricorrenza dell’indipendenza del paese.